Papa Francesco (LaPresse)

Che cosa resterà dello spettacolare autodafé della chiesa sugli abusi

Matteo Matzuzzi

Il Papa usa parole di saggezza e ricorda che la grande maggioranza delle violenze su minori avviene in famiglia. Le vittime protestano: "Parole letali"

Roma. Dopo tre giorni di mea culpa collettivi, di vescovi che a favore di telecamere esprimevano tutto il dolore e la vergogna per decenni di abusi – in modo generale, ovviamente, visto che in capo ai partecipanti al summit vaticano sulla protezione dei minori nella chiesa non pendeva alcunché – il lume della saggezza l’ha portato il Papa. Domenica mattina, chiudendo i lavori, Francesco ha sì sottolineato che “la disumanità del fenomeno a livello mondiale diventa ancora più grave e più scandalosa nella chiesa, perché in contrasto con la sua autorità morale e la sua credibilità etica”, ma ha anche ricordato che “la prima verità che emerge dai dati disponibili è che chi commette gli abusi, ossia le violenze (fisiche, sessuali o emotive) sono soprattutto i genitori, i parenti, i mariti di spose bambine, gli allenatori e gli educatori”.

 

Un’evidenza lapalissiana che però è bastata per scatenare l’ira – scontata e attesa – delle varie associazioni di vittime, che non attendevano altro che mettere nel mirino il Papa: “Il discorso del Papa è stato una letale battuta d’arresto”, ha tuonato Anne Barrett-Doyle, leader di bishopaccountability.org: “Mentre i cattolici del mondo invocano un cambiamento concreto, il Papa offre promesse tiepide già sentite. E’ stato angosciante sentire dire che gli abusi si verificano in tutti i settori della società”. Per concludere che trattasi di “retorica difensiva e riciclata”. In effetti, nella teoria di scuse e annunci – l’ultimo è che arriverà anche un motu proprio per regolare la faccenda – il più ragionevole è stato proprio il Pontefice, che fin dal primo giorno ha chiarito con il prontuario dei ventuno spunti di riflessione che di gogna non vuole neanche sentire parlare. Niente processi sommari, “occorre salvaguardare il principio di diritto naturale e canonico della presunzione di innocenza fino alla prova della colpevolezza dell’accusato”. Senza dimenticare che si deve “osservare il tradizionale principio della proporzionalità della pena rispetto al delitto commesso”.

 

A vertice finito è lecito domandarsi a cosa sia servito nel concreto. Se lo scopo era quello di mostrare al mondo un autodafé realizzato in piena regola, l’obiettivo è stato raggiunto. Relazioni di prelati sulla chiesa ospedaliera che deve chinarsi sulle ferite, roboanti denunce di potenti cardinali su dossier svaniti nel nulla o mai realizzati – Reinhard Marx fa sapere alla stampa che in Germania sono spariti i rapporti sugli abusi, ma il presidente della Conferenza episcopale locale, cioè la persona che dovrebbe spiegare il perché, è lui – suore che ringraziano “fratel Francesco (il Papa, ndr, quasi fosse un monaco di Bose) per essere abbastanza umile da cambiare idea, chiedere scusa e agire”. Perfino giornalisti che – chiamati a parlare ai vescovi – fanno sapere che “vi aiuteremo a trovare le mele marce e a vincere le resistenze per allontanarle da quelle sane”. Il trionfo del modello Spotlight tra i banchi dell’Aula nuova del Sinodo, in Vaticano.

 

Ore e ore a parlare di accountability, riforme, trasparenza, normative da adottare e linee-guida da implementare. Tra excursus sull’esigenza di aggiornare i seminari – il cardinale Beniamino Stella, prefetto della congregazione per il Clero, dalle colonne della Stampa di domenica ha già dato l’altolà, limitandosi a dire che potrebbero al massimo entrare psichiatri e psicologi per verificare il candidato al sacerdozio – e il consueto e ormai tradizionale appello a un ruolo più deciso e decisivo dei laici, senza dimenticare le parole anche queste di routine sulla necessità di dare spazio alle donne, si resta con il dubbio se un tema delicato e complesso come quello degli abusi da parte di chierici su minori possa essere risolto con tre giorni di riunioni in stile simposiale tra vescovi ed esperti della materia. Se l’intenzione è buona, il rischio è di aizzare ancora una volta di più quel mondo che – come s’è visto – altro non aspetta che scagliare pietre sulla chiesa parandosi dietro l’abominio degli abusi.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.