(foto LaPresse)

Paghiamo per i nostri errori. La pandemia potrebbe essere la fine della presidenza Trump

“Stiamo entrando nella fase del panico e paradossalmente è una cosa positiva: basta compiacenza”, scrive Niall Ferguson, Sunday Times (15/3)

Il panico per la pandemia ci ha indotto a commettere alcuni errori di categoria. Questo termine è stato inventato dal filosofo Gilbert Ryle, che ha illustrato il concetto con un esempio molto inglese: ‘Uno straniero che guarda la sua prima partita di cricket impara le funzioni dei vari membri della squadra. Ma poi dice: ‘Nessuno dei giocatori in campo contribuisce a migliorare lo spirito di squadra”’. Lo scrive Niall Ferguson. “Ryle sostiene che René Descartes sbaglia a rappresentare la mente umana come qualcosa di distinto dal corpo. Tuttavia, oggi le nostre menti non riescono a comprendere cosa potrebbe accadere ai nostri corpi. All’improvviso stiamo avendo paura del coronavirus, un nemico invisibile e onnipresente. Tuttavia, non riusciamo a pensare in modo chiaro e agire coerentemente (…).

 

Il primo errore lo hanno commesso molti investitori che, osservando le fluttuazioni dei mercati nell’ultima settimana, hanno pensato di affrontare una crisi finanziaria. Quindi hanno auspicato un intervento dei banchieri centrali e dei ministri dell’Economia, come è avvenuto nell’ultima crisi. Ma questa non è una vera crisi finanziaria, è un’emergenza sanitaria con dei sintomi finanziari. Il quantitative easing e la spesa in deficit non riusciranno a evitare una recessione finché il Covid-19 continuerà a diffondersi a un ritmo esponenziale, facendo precipitare l’attività economica. Un altro errore di categoria è stato confondere la demagogia con la leadership. Non sono uno di quelli che ha insistito sulla linea del ‘mai con Trump’ dopo che l’attuale inquilino della Casa Bianca ha vinto le primarie del Partito repubblicano nel 2016. Piuttosto, sono un ‘quasi mai con Trump’ – uno che, pur avendo molte riserve sul carattere e il temperamento di Donald Trump, è disposto a riconoscere che questo presidente, con i suoi modi burberi e istintivi, ha migliorato la politica economica ed estera del suo predecessore. Ma prima o poi sarebbe arrivata una crisi a rivelare i difetti di Trump – ed è arrivata nell’anno in cui spera di essere rieletto. Due settimane fa ho sostenuto che il Covid-19 rappresenta una minaccia mortale per la sua presidenza. I sondaggi hanno confermato la mia previsione, attribuendo un leggero vantaggio a Joe Biden in vista delle elezioni del 3 novembre. 

 

Tuttavia, ho la sensazione di avere già letto l’ultimo articolo di Peter Wehner sull’Atlantic, intitolato ‘La presidenza Trump è finita’. Certo, quell’affermazione è stata coniata da Steve Bannon ad agosto 2017, e nel frattempo è stata usata da molti personaggi meno interessanti. Questo mi porta alla terza categoria. La California – o lo stato di New York – sono nella stessa situazione dell’Italia? Se così fosse, sono d’accordo che la presidenza Trump sia finita. Ma siamo proprio sicuri? L’impatto del coronavirus su uno o più stati americani sarà devastante come lo è stato in Italia? Probabilmente sì. Questo è il motivo per cui le persone si sono affrettate a comprare i beni di prima necessità. Questo è il motivo per cui molti miei amici hanno lasciato la California e New York per recarsi in luoghi che, secondo loro, verranno colpiti in misura minore dalla pandemia. L’aeroporto John F. Kennedy è stato preso d’assalto da molte persone che hanno solamente fatto quello che si fa sempre in tempi di malattie: scappare dalle grandi città (e diffondere il virus). Se i contagi in America dovessero seguire la media dell’Italia allora, visto il numero di abitanti, dovremmo aspettarci 95 mila casi e 7 mila morti nel giro di due settimane. Le scene da guerra in alcuni ospedali italiani si ripeteranno a San Francisco o New York, e potrebbero essere anche peggiori dato che gli ospedali americani hanno meno posti letto pro capite rispetto all’Italia. 

 

La domanda è perché questo fenomeno non sia già avvenuto in America. Il numero di voli da Wuhan a Roma (28) e Parigi (23) tra il primo dicembre e il 5 febbraio è stato pressoché uguale alle partenze per New York e San Francisco (23 ciascuno). Secondo gli scienziati della Northeastern University in Massachusetts, l’America è il quinto paese più esposto al contagio dalla Cina dopo Tailandia, Giappone, Taiwan e Corea del Sud. La curva dei contagi in America è simile a quella in Italia, ma sembra esserci un ritardo temporale. Alcuni hanno ipotizzato che l’America si trovi 11 giorni indietro all’Italia, quindi San Francisco tra 11 giorni si troverà nella stessa condizione di Milano oggi. Ma perché ha accumulato questo ritardo? La spiegazione logica è la lentezza disastrosa con cui l’America ha reso disponibili i test del Covid-19. Pur senza svolgere i tamponi, ci saremmo aspettati un maggiore numero di malati e morti negli ospedali americani. Non penso che gli anziani americani siano più sani dei loro coetanei italiani, semmai è l’opposto. Una spiegazione migliore, che ho appreso da due economisti tedeschi, è che la rete sociale dell’Italia sia molto diversa da quella americana soprattutto in termini di interazione sociale tra giovani e anziani. Un quarto e ultimo errore di categoria è stato quello di confondere una pandemia reale con la fantascienza. Così come è stato un errore sminuire il Covid-19 come ‘una semplice influenza’, è stata un’esagerazione pensare di essere nel film ‘Contagion’ o ‘Station Eleven’. Stiamo entrando nella fase del panico della pandemia. Paradossalmente è una cosa buona, perché altre due settimane di compiacenza sarebbero state un grave errore”.  

 

La traduzione è di Gregorio Sorgi

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