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“Non si può trasformare la Cina nel Grande Salvatore del pianeta”

Annalisa Chirico

Il presidente di Eurasia Group, Ian Bremmer: “L’incompetenza e gli insabbiamenti del governo di Pechino hanno provocato l’ondata epidemica iniziale cui è seguita la diffusione nel resto del mondo con le conseguenze che sappiamo”

Ian Bremmer è fermo a New York da una settimana, una pausa dai ritmi frenetici cui è abituato il presidente di Eurasia Group. “Gran parte degli incontri con clienti e funzionari sono diventati virtuali, si fa tutto online. Mi mancano i ristoranti, enormemente”, dice al Foglio il politologo statunitense. Con lui parliamo della crisi globale innescata dal coronavirus e del tentativo cinese di trasformare il paese che ha generato il contagio nel Grande Salvatore del pianeta. “Questa narrazione non sta in piedi – replica Bremmer – L’incompetenza e gli insabbiamenti del governo di Pechino hanno provocato l’ondata epidemica iniziale cui è seguita la diffusione nel resto del mondo con le conseguenze che sappiamo. Se oggi assistiamo alla disruption dell’economia globale, lo dobbiamo a un virus che è comparso per la prima volta in un mercatino cinese”.

 

Gli Stati Uniti hanno minimizzato a lungo prima di dichiarare l’emergenza nazionale. “Nella prima fase di reazione alla pandemia la più grande economia del mondo, che è anche l’unica superpotenza militare industriale e tecnologica, ha abdicato al ruolo di leader globale. E’ in atto un enorme cambiamento geopolitico: gli Usa che, all’indomani della crisi economico-finanziaria del 2008, mostravano forte capacità di guida e resilienza, adesso fanno un passo indietro mentre la Cina mira a trasformare questa vicenda in un’occasione per cambiare l’ordine mondiale a proprio vantaggio”.

 

Il governo di Pechino ha emanato un ordine di espulsione per almeno tredici giornalisti di nazionalità statunitense, inclusi i corrispondenti di New York Times, Wall Street Journal e Washington Post. “Nelle ultime settimane il sentimento antiamericano è cresciuto moltissimo negli organi di informazione cinesi e, nel contempo, la censura dei social media ha corroborato l’immagine di un’amministrazione Trump incapace di gestire la crisi. Mentre i giornali cinesi riportavano con enfasi la notizia di Jack Ma, il fondatore del colosso Alibaba, che ha donato 500mila kit per il rilevamento a un paese, gli Usa, incapace di produrseli da solo, si riportavano i discorsi di imprecisati funzionari Usa interessati a far rientrare in patria alcune manifatture”.

 

Anche il governo italiano ha evidenziato il contributo cinese nella fornitura di mascherine e ausili medici. “Strano che nessuno faccia notare che nella maggior parte dei casi si tratta di beni che vengono venduti a un certo prezzo, è business. L’Italia è l’unico paese del G7 ad aver aderito alla Belt&Road Initiative, un atto anch’esso di valenza geopolitica. La Cina ha avviato un’offensiva per rilanciare la propria immagine: prima, sul piano interno, ha celebrato lo straordinario sforzo nazionale per contenere il contagio nella provincia di Hubei ed esaltato il viaggio del presidente Xi Jinping a Wuhan come una marcia trionfale; poi, sul piano esterno, ha promosso l’aiuto umanitario verso paesi terzi, incluso il vostro, dove insieme alle mascherine sono arrivati consulenti e personale sanitario”.

 

Anche Trump ha politicizzato il tema bersagliando l’“influenza cinese”. “Come prevedibile, entrambi gli attori principali hanno strumentalizzato la questione, il governo di Pechino è arrivato a sostenere che il coronavirus fosse un prodotto di bioingegneria realizzato dall’esercito Usa e introdotto a Wuhan. Questa volta la posta in gioco per la Cina è maggiore: funzionari cinesi coltivano segretamente l’idea di fondare una sorta di ‘Oms cinese’ con Pechino all’origine della supply chain medica globale e dunque meglio equipaggiata per assistere i paesi alle prese con epidemie internazionali, seppur in assenza dei criteri di trasparenza e accountability tipici della cornice Onu. Si ribalterebbe così un dato storico: se la Cina ha perso sempre influenza all’indomani di disastri naturali proprio per la sua incapacità di fornire aiuto umanitario, stavolta potrebbe acquisire una leadership globale mentre l’amministrazione Trump resta concentrata sullo slogan America first”. Il mondo sembra aver dimenticato che proprio le manovre cinesi per nascondere la comparsa del virus hanno innescato il flagello globale. “E’ un incredibile voltafaccia, soprattutto se si considera che l’occultamento della notizia ha condotto all’esplosione di diversi focolai in giro per il globo, mentre milioni di turisti e lavoratori cinesi viaggiavano da una parte all’altra, ignari di quanto accadeva. I cinesi stanno vincendo la partita della diplomazia pubblica fuori dagli Usa, ciò comporterà un ribilanciamento globale”.

 

Che cosa prevede? “I governi dei paesi terzi guarderanno con maggiore favore a commerci e investimenti cinesi mentre crescerà l’opposizione all’impegno americano di isolare Huawei e le società tech cinesi nei paesi amici e alleati”. Non abbiamo parlato di Europa. “In una prima fase, i paesi membri si sono mossi con ritardo e in ordine sparso, lo stesso nord Italia che vanta uno dei sistemi sanitari più avanzati ha scontato questo ritardo. Lo scorso 3 marzo i ministri delle finanze del G7, insieme con i governatori delle banche centrali, si sono riuniti in conference call promettendo il ‘monitoraggio’ della situazione, senza adottare misure concrete. Successivamente l’Ue ha cambiato strategia: finalmente c’è una politica di intervento sia in termini di stimolo fiscale diretto che di politica fiscale europea. Ai paesi membri è consentito spendere per far fronte all’emergenza, senza dover sottostare ai parametri di Maastricht, al fine di finanziare sia l’infrastruttura medica che le imprese danneggiate. L’ostilità di paesi rigoristi, come Germania, Olanda e Finlandia, è superata”.

 

La presidente della Bce Christine Lagarde è stata criticata per aver detto che Francoforte non si occupa di “ridurre lo spread”. “In altre parole, spiegava che l’Eurotower è tiepida all’idea di dover correre in aiuto dell’Italia…I mercati l’hanno demolita e alla fine la Bce ha approvato un pacchetto di misure smart in grado di affrontare le questioni di liquidità meglio che con un semplice taglio dei tassi”. Quando torneremo alle nostre vite? “E’ presto per dirlo, io però sono ottimista su un punto. Anche se, a sentire il nostro Anthony Fauci, direttore dell'Istituto nazionale Usa per le allergie e le malattie infettive, dovremo attendere tra i dodici e i diciotto mesi, molti scienziati e aziende sostengono che riusciremo ad avere un vaccino entro la fine dell’anno. La scienza ha fatto passi da leone, vale la pena ricordarlo”.

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