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Nostalgia

Il menù della serie tv preferita? Eccolo servito ai tavoli delle Netflix House

Stefano Pistolini

La progressiva digitalizzazione dei prodotti ha generato un fenomeno di ritorno: la riscoperta del piacere di violare l’involucro di plastica trasparente di un album, aprirlo, studiarne le grafiche, leggerne le note, assaporarne la seduzione visuale assieme a quella sonora

Tu chiamale se vuoi, emozioni. La notizia trapelata dalla stampa americana è che Netflix sta per aprire i suoi “luna park”. Attenzione: niente a che vedere con le giostre, l’ottovolante e il calcinculo. Più pragmaticamente la reificazione del fattore “N”, per ciò che ormai occupa nella fantasia dei suoi milioni di spettatori: in sostanza dei centri di divertimento all’interno dei quali prenderanno forma, sostanza, visibilità, tatto (e ovviamente opportunità di consumo) tutte le figure e le situazioni di culto che hanno reso celebri tante produzioni della piattaforma streaming. Un’idea che lavora su un concept che si va definendo sempre più chiaramente, per quanto non siano ancora appurabili i reali numeri del fenomeno: la nostalgia per l’analogico, per il contatto fisico coi prodotti che scopriamo di amare, per la loro perenne presenza nei nostri scaffali, affettuosi oggetti del collezionismo, come lo sono stati per decenni i long playing in vinile e poi i cd e i cofanetti, le cassette vhs, i dvd e tutto il merchandising associato.

La progressiva digitalizzazione di questi prodotti, la loro esistenza nella sfera virtuale del sempre accessibile / mai accarezzabile, ha generato un fenomeno di ritorno tra i vecchi fruitori e una spasmodica curiosità tra gli ultimi arrivati: la riscoperta del piacere di violare l’involucro di plastica trasparente di un album, aprirlo, studiarne le grafiche, leggerne le note, assaporarne la seduzione visuale assieme a quella sonora. Netflix, a caccia di nuove fonti di approvvigionamento, ha deciso di sondare questo territorio commerciale, in fondo praticando una inversione a U nella sua storia, che proprio dalla distribuzione postale di film in affitto, su supporti fisici come dvd e le cassette, aveva inaugurato la sua parabola di successi. Perciò adesso ecco arrivare le Netflix House, prima apertura prevista nel 2025 a cominciare dagli Stati Uniti e poi in tutte le grandi città del mondo. Veri e propri grandi magazzini del campionario a marchio N, con all’interno ristoranti che serviranno menù tematici ispirati ai grandi titoli seriali (e certamente milioni di cheeseburger), vendita di ogni genere di gadget a essi ispirato, dalle banali magliette alle fedeli riproduzioni dei costumi, eventi in anteprima e perfino esperienze immersive per i fans, il nome di una delle quali sarebbe già trapelato: “Squid Game: The Trial”, in sostanza la possibilità di partecipare, senza rischi, alle qualificazioni per il celebre gioco al massacro coreano che ha trionfato nel 2021 a livello planetario, contribuendo a un sostanzioso incremento degli abbonati al canale. “Abbiamo capito che i nostri supporter desiderano ardentemente entrare nei mondi dei loro show prediletti e siamo convinti che così avranno la possibilità di farlo in un modo mai sperimentato prima”, ha detto a “Bloomberg” Josh Simon, VP dell’area consumer dell’azienda.

Bisognerà però vedere se tutto questo entusiasmo verrà ricambiato dal pubblico. Per ora quel che è certo è che il tempismo dell’annuncio vorrebbe fungere da contrappeso a quello assai meno popolare dell’ulteriore aumento dei prezzi per gli abbonamenti al servizio, a fronte di bilanci assai meno rosei che in passato e all’indomani dello sciopero di autori e attori che ha disseminato il caos nelle pianificazioni produttive di Netflix e degli altri colossi del settore. E poi c’è da tener conto del fatto che il procedimento di transfer da un consumo all’altro, già in passato più volte sperimentato dallo show business americano, spesso ha dato risultati poco gratificanti, fino a fiaschi rumorosi come quello della catena di “ristoranti delle star” Planet Hollywood, nei quali si offriva l’illusione di mangiare alla stessa mensa dei divi. Per quanto promettente, la scommessa è più difficile del previsto: in fondo è sempre il cliente ad aprire il portafogli e la sensazione di mercificazione di questo genere di venues potrebbe risultare un tantino invasiva. Perché non optare per una comune trattoria “no brand”? Sempre bambini e “Stranger Things” permettendo.

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