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Narcos vs narcos

Eugenio Cau

Comincia la serie di Netflix sui criminali messicani e a Broolkyn si apre il processo a el Chapo

Roma. Per una coincidenza meravigliosa, e probabilmente molto ben orchestrata, questa settimana la stessa storia sarà raccontata in due luoghi differenti. Il primo, ancorché digitale, è Netflix, il servizio di streaming che questa settimana metterà online una nuova stagione di “Narcos”, la serie tv dedicata all’epopea del narcotraffico in America latina. Questa stagione, la quarta dopo tre dedicate al colombiano Pablo Escobar e ai suoi colleghi, si sposta al nord, in Messico, dove la violenza dei narcos è più crudele e coreografica. Il secondo luogo è un tribunale di Brooklyn, New York, dove oggi comincia il processo al più famoso narcotrafficante messicano di tutti i tempi, Joaquín Guzmán Loera, conosciuto da tutti come el Chapo. Ecco il primo colpo di scena: ci sono ottime probabilità che la storia raccontata nel tribunale di Brooklyn, dove il processo potrebbe durare fino a quattro mesi, sarà molto più avvincente e terribile di quella che metteranno in scena quei geni dell’intrattenimento di Netflix.

 

 

Ora, le due storie, quella raccontata in streaming e quella raccontata in aula, non sono perfettamente sovrapposte. “Narcos”, con uno stile leggermente didattico che si è mantenuto fin dalla prima serie, tratterà i primordi del narcotraffico in Messico, il periodo degli anni Ottanta, quando i criminali messicani presero il testimone dai loro colleghi colombiani per diventare la mafia più temuta del mondo. Il dominatore incontrastato di quell’epoca si chiama Miguel Ángel Félix Gallardo, e il suo soprannome criminale era el Padrino. Se si conta che el Chapo, nel dialetto della regione di Sinaloa, significa “il piccoletto” (mentre el Padrino significa proprio il padrino), si capisce che gli anni Ottanta per la criminalità organizzata sono stati anni seminali, un periodo in cui ci si poteva ancora permettere soprannomi magniloquenti. El Chapo appartiene a un paio di generazioni criminali dopo, a un tempo in cui i soprannomi si davano con sarcasmo, perché non c’era ormai più bisogno di incutere timore e rispetto, erano scontati. Uno dei più sanguinari, sadici e vendicativi colleghi di el Chapo, un sicario il cui marchio di fabbrica erano la decapitazione e la tortura dieci anni prima dell’Isis, era soprannominato la Barbie, per i suoi capelli biondi.

 

Gli anni Ottanta raccontati da Netflix, nella cronologia del narcotraffico messicano, sono dunque primordiali ma in un certo senso più rozzi, perfino più frugali. Il vero orrore, coreografato con sadismo, sarebbe arrivato con el Chapo, che ai tempi di el Padrino era un narcos di scarsa importanza e che avrebbe cominciato la sua scalata al potere negli anni Novanta, per poi ottenere il dominio assoluto nei Duemila. E’ per questo che, per gli amanti del genere orrorifico, i procuratori di Brooklyn avranno molto più materiale su cui lavorare rispetto agli sceneggiatori di Netflix. Negli anni Ottanta, i narcotrafficanti messicani mai avrebbero pensato di farsi costruire un kalashnikov di oro zecchino, come quello che possedeva el Chapo. Non conoscevano l’importanza della comunicazione, e dunque difficilmente lanciavano messaggi pubblici per influenzare i media e la politica. Non sapevano che l’orrore, portato agli estremi, suscita una forma perversa di ammirazione, e dunque non si azzardavano a manipolare i cadaveri dei loro nemici e degli innocenti ammazzati, creando di notte coreografie macabre per le strade del Messico usando corpi, teste e arti, che sarebbero state trovate dai cittadini al loro risveglio. Una volta arrestato, el Padrino è rimasto a marcire in prigione, ed è ancora lì. El Chapo, invece, è riuscito a fuggire due volte dalle carceri di massima sicurezza del Messico, una volta dentro a un carrello della biancheria, un’altra attraverso un tunnel lungo chilometri. Nel 2017 el Chapo è stato estradato negli Stati Uniti, e il processo che si apre oggi potrebbe diventare un grande show. Soltanto negli ultimi giorni i procuratori hanno consegnato alla difesa 14 mila pagine di materiale, ha scritto ieri il New York Times, e si preparano a chiamare a testimoniare altri narcos, nemici e alleati, vittime e complici. Ci sono i presupposti per superare Netflix.

 

 

Correzione: in una versione precedente di questo articolo si è scritto che le stagioni di "Narcos" già andate in streaming sarebbero due. Sono tre.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.