Il (falso) mito di Pablo Escobar e i legami fra Narcos e Farc

Un quartiere di Medellin venera il “re della droga” con murales e ritratti. Ma per la maggior parte dei colombiani il suo nome è sinonimo di stragi e guerre civili

Francesca Parodi

Grazie anche alla serie tv di Netflix “Narcos”,  tutti conoscono Pablo Escobar. Il criminale colombiano, ucciso durante una sparatoria con la polizia nel 1993, era conosciuto come “il re della cocaina” ed è stato il più famoso e ricco trafficante di droga della storia. Nel corso della sua carriera si è macchiato di violenti crimini ed è stato personalmente responsabile della morte di oltre 4 mila persone, inclusi tre candidati alla presidenza colombiana, un ministro della giustizia, più di 200 giudici, dozzine di giornalisti e più di mille poliziotti. Eppure, esiste un piccolo quartiere di Medellin che prende il nome dal famoso criminale e che lo venera come un generoso e magnanimo benefattore: si tratta del Barrio Pablo Escobar, dove risiedono circa 15 mila abitanti su una popolazione cittadina di 2,5 milioni. L’intero quartiere fu costruito nel 1982 proprio per il volere e con i finanziamenti del capo dei Narcos, che diede così un tetto e dei servizi a cittadini indigenti che si sentivano dimenticati dal governo.

Nel Barrio Escobar, come racconta il Colombian Reports, chiunque senta il nome del boss risponde con un cenno del capo o con un’espressione di gratitudine. Il quartiere sembra uno come tanti di Medellin, con le case in mattoni rossi e cemento, una attaccata all’altra sul pendio delle colline, in un equilibrio apparentemente precario. Ciò che però lo rende caratteristico è la presenza massiccia di murales dedicati a Escobar che riproducono le sue fattezze e gli dedicano frasi di affetto e riconoscenza. All’interno delle abitazioni, sugli altarini votivi, accanto alla statuetta della Madonna compare spesso la fotografia di Escobar, con un’aurea di nuovo santo protettore.

 

 

Promuovere la costruzione di case, scuole e ospedali consentì al capo dei Narcos di coltivare la propria immagine di “Robin Hood” che distribuiva aiuto ai bisognosi in cambio di fedeltà. Non si esclude infatti che quando Escobar evase di prigione (da “La Catedral”, come venne rinominata, perché più che un carcere sembrava un hotel di lusso), il boss si fosse rifugiato proprio nel Barrio Escobar con la complicità e l’aiuto dei suoi abitanti. Tuttavia non bisogna lasciarsi trarre in inganno dal mito che Escobar e la propaganda successiva alla sua morte sono riusciti a costruire: l’adorazione per il narcos è limitata al perimetro del quartiere da lui costruito. Il resto della popolazione colombiana ricollega quel nome a terrorismo e guerra civile.

Per anni i Narcos hanno tenuto sotto scacco il paese con il terrore e la violenza grazie al loro legame con le Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Queste ultime costituiscono un gruppo di opposizione al governo, ma di fatto in passato rappresentavano il braccio armato dei Narcos. Tra loro si instaurò un rapporto di protezione e sostegno reciproco: i ribelli consentirono per anni ai Narcos il pieno controllo dei territori dove si produceva cocaina per ottenere dal traffico della droga cospicui ricavi con cui finanziare il movimento. In questo modo le Farc divennero talmente potenti e ricche di risorse da poter costruire una flotta di sommergibili con cui esportare la cocaina. La popolazione colombiana era sottomessa a questa specie di dittatura che si avvaleva di attacchi terroristici come mezzo per diffondere il panico e mantenere così il controllo. Gli anni ’60, ’70 e ’80 sono stati caratterizzati da stragi di massa, principalmente con esplosivi, che non avevano come obiettivo istituzioni o bersagli specifici, ma che mietevano anche cinquanta vittime per volta. Il livello d’allerta era tale che fino a vent’anni fa le strade erano presidiate da soldati dell’esercito armati di tutto punto e da unità cinofile. Non si trattava di cani antidroga, ma di animali addestrati a fiutare gli esplosivi. Chiunque volesse accedere ad un luogo pubblico, come anche un supermercato, doveva obbligatoriamente sottoporsi ad un accurato controllo personale e alla perquisizione della propria vettura. Quasi tutti gli hotel di lusso erano circondati da mura sormontate da filo spinato, dotati di una torretta d’osservazione e controllati da militari. Ancora oggi, sebbene non ci sia più lo stesso livello d’allarme, si vedono ancora molti soldati con i cani sorvegliare le strade delle principali città.

Il risentimento della popolazione nei confronti delle Farc è emerso in maniera chiara con l’esito negativo del referendum su un accordo tra il governo e i ribelli. Non si tratta di un rifiuto della pace, ma, dal punto di vista dei cittadini, l’accordo promosso dal presidente Santos sancirebbe la vittoria delle Farc: le riconoscerebbe ufficialmente come una realtà legittima e legale, dando loro dignità e peso politico. Giovedì il Parlamento ha approvato la legge che consente a Santos di firmare il decreto di amnistia per circa cinquemila ex combattenti attualmente in carcere e il governo ha promesso che entro la fine di gennaio si conoscerà con precisione il numero e l’identità di quanti potranno beneficiare delle misura. Ma sono in molti a temere che fra questi ci saranno anche persone che si sono macchiate di reati particolarmente gravi.

La salvezza per la Colombia potrebbe risiedere nel fatto che ora, in seguito ai provvedimenti sempre più severi sul traffico di cocaina adottati dal governo, la produzione della droga si sta spostando verso altri paesi del Sud America dove le normative e le misure di controllo sono meno rigide. Le Farc perderebbero così definitivamente un importante sostegno economico e la Colombia potrebbe trovare uno spiraglio per uscire dalla violenza.

Di più su questi argomenti: