(foto LaPresse)

Da oggi arriva in Italia la web tax che ha fatto arrabbiare Trump

Eugenio Cau

In attesa dei negoziati Ocse, il decreto fiscale ha introdotto l'aliquota al 3 per cento per le società fornitrici di servizi digitali con un fatturato di almeno 750 milioni di euro

Milano. Dopo anni di rinvii e di tentennamenti, oggi entrerà in vigore in Italia la cosiddetta web tax, l’imposta sui ricavi generati in Italia dalle grandi aziende di internet. La web tax era stata approvata dalla manovra del 2019, ma non era mai entrata in vigore per l’assenza del decreto attuativo. Il decreto fiscale da poco approvato dal Parlamento, invece, stabilisce che l’applicazione della norma non richiede la realizzazione di un decreto ministeriale apposito, e questo significa: la web tax entra in vigore il 1° gennaio, e le aziende hanno tempo fino al 16 marzo del 2020 per pagarla. L’aliquota al 3 per cento sui ricavi si applica a tutte le aziende con un fatturato di almeno 750 milioni di euro e che ottengano ricavi derivati dalla prestazione di servizi digitali in territorio italiano per almeno 5,5 milioni di euro, calcolati rispetto ai ricavi dell’anno precedente. La localizzazione dei servizi in Italia si fa attraverso indirizzo IP, e la tassa vale soltanto per le transazioni “business to business”, non per le operazioni verso soggetti privati. Questo significa, per esempio, che Google e Facebook dovranno pagare la tassa, perché sono un business che vende pubblicità a un altro business. Spotify e Netflix invece non dovranno pagare, perché il loro servizio è erogato direttamente a soggetti privati, dunque agli utenti.

 

La web tax italiana è più lieve, dunque, della “taxe Gafa” da poco approvata dalla Francia (Gafa sta per Google, Amazon, Facebook, Apple, e rende abbastanza chiaro quali sono gli obiettivi della misura), che non concede eccezioni. Nel Regno Unito, Boris Johnson vuole applicare entro l’aprile del 2020 una sua web tax con un’aliquota del 2 per cento, e anche la Germania, la Spagna, l’Australia, il Canada e altri paesi sviluppati stanno per approntare misure simili. Attorno alle web tax approvate in mezzo mondo c’è uno scontro piuttosto palese tra l’Amministrazione americana e numerosi governi soprattutto occidentali, per i quali le compagnie digitali generano ricchezza nei loro paesi ma finiscono per pagare pochissime tasse grazie alla natura impalpabile dei loro prodotti e all’aiuto di governi compiacenti come quelli dell’Irlanda e del Lussemburgo – che assieme ad altri hanno fatto fallire questa primavera la creazione di una web tax a livello europeo. Secondo uno studio pubblicato a fine novembre da Mediobanca, le piattaforme digitali nel 2018 hanno versato al fisco italiano 64 milioni di euro a fronte di un fatturato da 2,4 milioni di euro. Le aziende hanno smentito lo studio e ne hanno criticato la metodologia.

 

Le compagnie americane e l’Amministrazione del presidente Donald Trump, che è un critico feroce della Silicon Valley ma combatte con tutti i mezzi quando c’è da difendere gli interessi delle aziende americane dagli europei e ha minacciato a più riprese sanzioni e dazi, chiedono di aspettare la fine del negoziato a livello Ocse sulla tassazione delle aziende digitali e non solo. Questo accordo, tra più di 100 paesi, eviterebbe la creazione di un sistema fiscale frammentato che penalizzerebbe senz’altro le aziende di internet, che per loro natura prescindono dai confini. C’è un problema: sembra che l’Amministrazione Trump stia contestualmente boicottando i negoziati. All’inizio di dicembre il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha mandato una lettera all’Ocse dicendosi preoccupato per l’andamento dei negoziati, che a ottobre avevano trovato una bozza provvisoria. All’Ocse hanno accolto con scetticismo la lettera, perché la bozza di ottobre era stata redatta in gran parte per rispondere alle indicazioni degli Stati Uniti. Washington disconosce il lavoro che l’Ocse ha fatto per accontentarla, e chiede di aggiungere all’accordo una clausola che consente alle aziende interessate di scegliere sotto quale regime fiscale stare, quello nuovo o quello vecchio. Questo renderebbe il lavoro dell’Ocse in buona parte inoffensivo. Sia la Francia sia l’Italia hanno detto che elimineranno le rispettive web tax se sarà approvata una norma a livello Ocse, ma per ora un accordo sembra lontano.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.