La premier della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, e il presidente francese, Emmanuel Macron, all'Eliseo per il Christchurch Call (Foto LaPresse)

Chi censura l'odio?

Eugenio Cau

A Parigi Macron e Ardern vogliono bandire il terrorismo online, ma ci sono parecchi problemi politici

Milano. La premier neozelandese Jacinda Ardern e il presidente francese Emmanuel Macron hanno ospitato oggi a Parigi un incontro tra capi di stato e rappresentanti delle piattaforme digitali con l’intento di trovare un accordo per eliminare il terrorismo da internet. Tra i capi di stato e di governo hanno partecipato il premier canadese Justin Trudeau, la premier inglese Theresa May, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, il re di Giordania Abdullah II. Tra i rappresentanti delle compagnie tech c’erano Jack Dorsey, cofondatore e ceo di Twitter, e dirigenti di alto profilo di Facebook e di Google. I partecipanti hanno firmato un accordo non vincolante definito “Christchurch Call”, dal nome della cittadina neozelandese dove a marzo un terrorista di estrema destra ha sterminato 51 persone in due moschee, pubblicando online un manifesto di odio e filmando parte dell’attentato in diretta streaming.

 

Ardern e Macron sono i due perfetti promotori di un’iniziativa come la “Christchurch Call”. Il contenuto del documento è più che altro una serie di buoni propositi in cui governanti e compagnie si impegnano a regolamentare in maniera più efficace i contenuti di tipo terroristico e l’hate speech, i contenuti d’odio che del terrorismo sono spesso l’anticamera, ma i due leader, assieme, hanno espresso un messaggio simbolico forte: lui presidente del paese che più di ogni altro è stato colpito dal terrorismo islamico negli ultimi anni, lei premier dell’isola che ha subìto il più terrificante attacco di estrema destra in tempi recenti.

   


I funerali per le vittime di Christchurch in Nuova Zelanda (Foto LaPresse)


 

Le probabilità, tuttavia, che il messaggio simbolico resterà tale e i buoni propositi rimarranno su carta sono alte, per due ragioni. La prima è che regolamentare internet a livello globale è un compito quasi impossibile, che richiede una cooperazione tra centinaia di stati e altrettante piattaforme così complessa da apparire irreale. La seconda ragione è che ci sono questioni politiche che prescindono dal dato tecnico. Ardern e Macron vogliono combattere in particolar modo il terrorismo islamico e quello di estrema destra, che sono i più violenti attualmente in circolazione, ma dei due il primo è già stato debellato dalle piattaforme digitali.

 

Dopo la crisi di qualche anno fa, infatti, i contenuti di propaganda e indottrinamento del terrorismo islamico sono quasi del tutto scomparsi dai principali social network, grazie a un lavoro di censura aggressiva che ha comportato l’utilizzo di intelligenza artificiale e di migliaia di censori umani. Perché lo stesso non è avvenuto con il terrorismo di estrema destra, non meno violento o pericoloso? I video dello Stato islamico vengono eliminati da Facebook, Twitter e YouTube quasi immediatamente, ma il video in cui il terrorista di Christchurch si è filmato in diretta mentre uccideva decine di persone è ancora rintracciabile con una relativa facilità, a mesi di distanza dalla sua prima pubblicazione.

  

 

La differenza è soprattutto politica. Le piattaforme hanno deciso di essere meno aggressive quando si tratta di colpire l’estremismo di destra perché nella rete dell’algoritmo potrebbero finire anche opinioni che sono considerate protette dalla libertà d’espressione. Il mese scorso il sito Motherboard ha pubblicato un’intervista con una fonte dentro a Twitter che raccontava come il social abbia deciso di non usare metodi algoritmici per controllare l’hate speech di estrema destra come fa con l’islamismo, perché significherebbe la rimozione di contenuti postati da politici di destra estrema, o anche soltanto di destra. Questo creerebbe gigantesche grane politiche che l’azienda vuole evitare a tutti i costi (Twitter ha smentito l’articolo di Motherboard).

 

La settimana scorsa, il presidente americano Donald Trump ha difeso su Twitter alcuni incitatori d’odio estremisti che erano stati banditi da Facebook, dicendo che le piattaforme stavano limitando il loro sacrosanto diritto d’espressione. È per questo che Mark Zuckerberg ha detto in un’intervista recente che negare l’Olocausto su Facebook è accettabile, purché fatto “in buona fede” (l’ha detto sul serio, poi si è parzialmente corretto), e Jack Dorsey di Twitter si è rifiutato di dire se caccerebbe Trump dalla piattaforma qualora il presidente incitasse i suoi follower all’omicidio. Forse non a caso l’Amministrazione americana ha annunciato che non firmerà la “Christchurch Call”. L’Italia, invece, è elencata tra i sostenitori dell’iniziativa. Il tema è estremamente delicato e mette le piattaforme in una posizione scomoda. È per questo che Google, Facebook e gli altri vogliono che siano gli stati a decidere cosa è lecito scrivere sui social e cosa no: non vogliono avere la responsabilità terribile del censore, anche quando si parla di odio e violenza.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.