Elizabeth Warren (foto LaPresse)

Dem vs big tech

Eugenio Cau

La Warren spiana la strada a manovre dure contro la Silicon Valley. L’ondata superliberal contro i campioni digitali

Milano. Elizabeth Warren, senatrice democratica candidata alle elezioni del 2020, ha concentrato il suo intervento al SXSW    – vale a dire una delle più importante fiere al mondo di intrattenimento e tech – attorno alla distruzione dell’industria tech. La Warren aveva anticipato il tema la settimana scorsa nel Queens, il quartiere di New York dove Amazon voleva costruire il suo secondo quartier generale e da cui Amazon è stato cacciato a forza di proteste e socialismo (25 mila posti di lavoro persi). Poi ha scritto un post su Medium in cui descriveva nel dettaglio le sue proposte, e infine si è presentata alla fiera di Austin, che di solito è un raduno di ceo e founder, ad annunciare a tutti gli angoli: se divento presidente, per voi si mette male.

 

La proposta di Warren è relativamente semplice. Da un lato colpire le aziende che sono diventate troppo grandi perché possiedono piattaforme o marketplace; dall’altro colpire le aziende che sono diventate troppo grandi grazie ad acquisizioni e unioni. Le compagnie tecnologiche americane, Amazon Apple Facebook e Google, hanno fatto entrambe queste cose, e ciò significa che, per esempio, Amazon dovrebbe staccare il suo marketplace (che è il posto dove i prodotti sono messi in vendita) da Amazon Basics (che è il marchio con cui Amazon produce beni da mettere in vendita nel suo marketplace, facendo concorrenza agli altri venditori), e al tempo stesso dovrebbe staccarsi da Whole Foods, una sua acquisizione recente. Facebook dovrebbe staccarsi da Instagram e da WhatsApp, e restituire loro l’indipendenza, e così via. La proposta di Warren è diventata automaticamente il primo tema di discussione al SXSW, e ha costretto tutti gli altri candidati democratici a posizionarsi. Per la Silicon Valley, che storicamente ha sempre votato dem, finanziando lautamente il Partito democratico, “socialism is coming”.

 

La Warren sta seguendo una strategia precisa su tutti i temi di policy: mirare alto con una proposta dettagliata e massimalista, che sia sull’assicurazione sanitaria dei minori o sulla politica fiscale, e poi osservare mentre gli altri candidati si posizionano sui temi d’agenda dettati da lei. Nessuno dei suoi colleghi in corsa per la presidenza è stato pronto ad aderire alla proposta uberpopulista di fare a fettine alcuni dei gioielli dell’industria nazionale, ma molti si sono aggrappati alla policy appena meno massimalista: tassare big tech.

 

Al SXSW c’era anche Amy Klobuchar, senatrice democratica del Minnesota e candidata alla presidenza, che durante un evento ha proposto di tassare big tech tutte le volte che vengono venduti dei dati, un po’ come un pedaggio autostradale. Ha detto inoltre che da presidente sarebbe pronta a “scatenare” indagini antitrust contro i giganti digitali. Andrew Yang è un candidato molto minore tra i democratici, ma anche lui si è detto favorevole a nuove tasse, benché abbia definito “retrograda” la proposta di Warren. Bernie Sanders, manco a dirlo, è ben disposto a tassare i miliardari tech, anche se non ha ancora pubblicato una proposta dettagliata.

 

Davanti a questa ondata di regolamentazioni e tasse, i candidati moderati sono messi alle strette, come succede quando è il massimalismo a dettare l’agenda politica. Kamala Harris ha una storia di battaglie in favore della privacy quando era procuratrice, ma il New York Times scrive che sui rapporti con l’industria tecnologica per ora preferisce non esprimersi per vedere se l’ondata superliberal avrà la meglio sul tema. Cory Booker è considerato vicino alle aziende della Valley, e in questi giorni evita di emettere comunicati.

L’approccio massimalista a una questione complessa e fondamentale come il rapporto tra politica, cittadinanza e tecnologia rende difficile il lavoro anche a chi invoca la regolamentazione. Tim Wu, professore alla Columbia Law School e autore di un libro recente sul tema (“The Curse of Bigness”), è favorevole alla rottura dei monopoli tech, ma con un approccio molto più articolato della proposta di Warren. L’autrice Shoshana Zuboff (“The Age of Surveillance Capitalism”) ritiene invece che il metodo dell’antitrust sia inefficace perché bisogna ripensare l’intero modello economico. Al SXSW, i politici democratici si sono tuffati di testa in un dibattito di enorme complessità, fornendo pochi contributi e molto populismo.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.