Joachim Löw sarà ancora il tecnico della Germania fino al 2022 (foto LaPresse)

Se l'Italia vuole tornare a vincere prenda appunti dalla Germania

Francesco Caremani

Il tecnico Löw rinnova fino al 2022 nonostante l'eliminazione clamorosa ai Mondiali. Meritocrazia, progettualità e voglia di essere i migliori: un modello da seguire per la nostra Federazione

Joachim Löw ha un difetto, gli piace andare forte in macchina e utilizzare il telefonino quando guida, per questo si è visto ritirare la patente due volte. Difetto che non è pesato sulla scelta della federazione tedesca, che ha deciso di confermarlo alla guida della Mannschaft, la nazionale di calcio, nonostante la clamorosa eliminazione dal Mondiale in Russia, al primo turno. Un evento mai accaduto prima, e se proprio vogliamo essere pignoli dobbiamo tornare indietro nel tempo, a ottanta anni fa per l'esattezza, quando nel 1938 fu eliminata subito dalla Svizzera e ancora non c’erano i gironi. Scelta indecifrabile se guardata con le lenti del nostro italico sentire, dove siamo soliti aggrapparci al risultato come unico elemento di valutazione, un po’ come i gladiatori degli antichi romani: vittoria e vita, sconfitta e morte, che poi è un po’ il nostro modo di seguire il calcio. In Germania, invece, il merito, quello vero, quello consolidato nel tempo, si premia e non si butta via.

  

È la cifra tedesca di fare le cose, e storicamente dà i suoi frutti. È già accaduto con Helmut Schön, confermato dopo avere perso il Mondiale del ’66 in finale contro l’Inghilterra e la partita del secolo nel ’70 contro l’Italia, per vincere poi Europeo e Mondiale a due anni di distanza. Con Franz Beckenbauer, che perde la finale dell’86 con l’Argentina, non va oltre le semifinali nell’Europeo casalingo dell’88 e vince Italia ’90. Infine, con Berti Vogts, sconfitto dalla Danimarca nel 1992 ma poi campione d’Europa quattro anni dopo, contro la Repubblica Ceca. Lo stesso Löw aveva perso la finale di Euro 2008, terzo in Sudafrica nel 2010 e sconfitto in semifinale dall’Italia a Euro 2012, per poi vincere il Mondiale 2014 contro Brasile (7-1) e Argentina, un classico del calcio tedesco. Il punto più basso il movimento tedesco lo ha raggiunto nel 2000, dopo l’eliminazione dall’Europeo. Fu allora che la federazione decise di cambiare, con centri federali su base regionale (350 circa), fair play finanziario per i club e un sistema olistico, inventato da Matthias Sammer, considerato il migliore al mondo per lavorare sulla personalità dei ragazzi, della serie “si vince o si perde, resta da vedere se si vince o si perde da uomini”.

 

Löw è stato un onesto centrocampista d’attacco e poi un onesto allenatore di club tra Austria, Germania, Turchia e Svizzera, dove ha iniziato. Dal 2004 al 2006 è stato assistente di Jurgen Klinsmann sulla panchina della nazionale, assistendo anche alla disfatta di Dortmund contro l’Italia di Lippi. Ecco: fissate bene quel momento e poi fate due conti. Dal 2006 Löw ha preso in mano la Germania vincendo un Mondiale, una Confederations Cup e arrivando sempre tra le prime quattro, pure agli Europei. L’Italia invece? Sempre fuori nella Coppa del Mondo al primo turno, due quarti di finale e una finale persa in modo umiliante contro la Spagna al campionato d’Europa per Nazioni. Senza un criterio preciso di meritocrazia. Se vogliamo, l’unico scelto meritocraticamente è stato Antonio Conte, il quale ha fatto il massimo con il capitale umano a disposizione. Da una parte c’è un paese che premia i migliori, ai quali concede sempre una seconda chance, applicando una meritocrazia vera. Dall’altra ce n’è uno che sceglie quasi a casaccio e dove l’ultimo ct esonerato ha avuto la possibilità di dire la sua in televisione senza un contraddittorio, come se la carriera di Giampiero Ventura avesse potuto giustificare la panchina della Nazionale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

 

I tedeschi amano competere, sentirsi i migliori (fino a che non s’imbattono negli Azzurri) dimostrare di essere i più forti e quindi vincere. Noi italiani amiamo solo vincere e, come nella vita di tutti i giorni, non importa come. Ecco l’enorme differenza, ecco perché Joachim Löw, cui si perdonano anche le dita nel naso (e altrove) è stato riconfermato. Riconfermato da una federazione forte, riconosciuta e riconoscibile, di un movimento in salute, economica e sportiva, al di là del risultato.

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