Giampiero Ventura

Ventura, la Fenice

Alessandro Bonan

Lo abbiamo posto in cima a una catasta di legna e lasciato bruciare. Ma lui è risorto sulle sue stesse ceneri. L'ex commissario tecnico della Nazionale è tornato

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Lo abbiamo posto in cima a una catasta di legna e lasciato bruciare. Ma lui, come una Fenice, è risorto sulle sue stesse ceneri. Giampiero Ventura is back, e la cosa non sembrava più possibile. Lo vedevamo ardere sotto un fuoco violento; più che un uccello sembrava una strega. Le fiamme avvolgevano il suo grande corpo, la fronte rifletteva abbagli di luce. La strega-Fenice ci aveva trascinato in fondo al bosco con le sue eresie, nel buio ci eravamo persi. Durante l’estate il fuoco si era fatto più alto, con fiamme che raggiungevano il cielo. Guardavamo con rabbia gli altri giocare fuori dalla foresta. Come in preda ad un delirio, ridevamo di lui, del modo in cui bruciava senza scampo. Una risata isterica, sguaiata e cattiva. Pensavamo che sarebbe morto, che non ne avremmo più sentito parlare.

 

E invece l’uomo-strega-uccello è risorto ed è tornato tra di noi. Ci stiamo già preoccupando di come dobbiamo accoglierlo. Provare a fare finta di nulla, con la stessa vigliaccheria con cui si parla a un amico a cui si è appena portato via la fidanzata oppure, più onestamente, manifestargli la nostra ostilità con parole scarne e un tono algido di superiorità? Stiamo ancora decidendo il da farsi mentre l’allenatore ex mostro si è rimesso la tuta da lavoro.

 

Per molti anni ha incarnato la figura del self-made man del pallone. Da insegnante di educazione fisica nelle scuole ad allenatore della Nazionale della nostra amata Italia. Il tutto in molti anni di carriera dal basso fino alle vette. Una scalata faticosa, lenta ma inesorabile. Un calcio fatto di valori tecnici importanti, il famoso giro palla, antesignano del moderno (e ormai ripetitivo e quindi già obsoleto) tiki taka. Già, il giro palla, tradotto con sarcasmo nel dopo Svezia in uno scontato gioco di parole, perché le palle ancora ci girano. Eppure adesso è arrivato il momento di lasciar perdere, di non parlarne più, concedere nuovi spazi. Dovremo essere attaccanti diversi rispetto ai fantasmi azzurri che, insieme all’ex ct (ed è un dovere ricordarlo), ci hanno impedito di salire sulla giostra mondiale. Dovremo essere superiori e “forti di testa”. Ce la faremo? Dobbiamo farcela, anche perché è giusto che sia così. Cancelliamo la S maiuscola davanti al suo nome, torniamo a guardarlo, se non con la simpatia di una volta, almeno con la disponibilità e l’altruismo che si deve a una persona onesta. Proviamo a dirgli in bocca al lupo, prima che il lupo si agiti di fronte a un altro fuoco. Ventura ha bruciato abbastanza, la sua Fenice, che piaccia o no, è un ritorno alla normalità. La stessa vita che per fortuna, tra i suoi scenari, prevede anche quello del riscatto.

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