si rinizia
Guida all'Nba 2025
Dopo i Boston Celtics ancora i Boston Celtics? Le favorite, le sorprese e le gerarchie sul parquet e tutto quello che c’è da sapere sulla regular season del campionato di basket americano
Cercasi rivali per Boston. Si riaccendono i fari dell’Nba, reduce dalla cavalcata trionfale dei Celtics: stagione 2024/25 al via nella notte tra martedì e mercoledì, proprio al TD Garden, dove i campioni in carica affronteranno i New York Knicks nell’antipasto del possibile leitmotiv sulla costa est. A seguire tutte le altre, tra conferme, nuove sfide e romanzi generazionali.
Riuscirà il riscatto a Jokic e Antetokounmpo? Papà Lebron e figlio Bronny saranno più di un affare di famiglia in casa Lakers? Ma soprattutto, saremo in grado di attendere altre 2.460 partite prima dei playoff? Roster, gerarchie e sorprese al via: tutto quel che c’è da sapere sull’annata che sta per cominciare.
EASTERN CONFERENCE
Squadra che vince non si cambia. E allora Boston resta granitica attorno a coach Pezzulla e Jayson Tatum, riproponendo in blocco il gruppo che ha dominato gli scorsi playoff con uno score di 16 vittorie su 19 gare. L’unica falla in quintetto è che per Al Horford ogni anno passa un anno (ora son 38). Ma degli altri quattro, l’unico a non aver vinto l’oro olimpico a Parigi è l’Mvp delle ultime Finals (Jaylen Brown): per le avversarie sarà dura.
Passiamo a Manhattan, dove si cela la grande novità stagionale: per la prima volta dai tempi di Patrick Ewing (anni Novanta), forse ancora più della fiammata Anthony-Stoudemire (2013), i Knicks si presentano ai nastri di partenza da autentica contender per il titolo. Tutto grazie a una trade colossale, che ha portato in canotta arancioblù niente meno che Karl-Anthony Towns al prezzo – comunque impegnativo – di Randle e DiVincenzo. Mettiamoci poi l’arrivo di Mikal Bridges dall’altra parte dell’Hudson River ed ecco che il genio di Jalen Brunson potrà contare su un coro all’altezza.
L’altra grande rivale per l’anello resta Milwaukee, che dopo il flop della scorsa stagione – seconda uscita consecutiva al primo turno – ripartirà in punta di piedi e con meno pressioni addosso. Potrebbe rivelarsi un vantaggio: la scintilla tra due giganti del parquet come Lillard e Antetokounmpo deve ancora scoccare, l’innesto di Gary Trent Jr. da Toronto darà freschezza a un roster non più giovanissimo.
Le altre. Sale di livello Philadelphia, con Paul George chiamato a dare man forte al duo Maxey-Embiid: talento da vendere anche in panchina (Lowry, Gordon, Reggie Jackson), il dubbio sarà la tenuta fisica dei protagonisti. Manca il salto di qualità Cleveland, che non rinforza il pacchetto attorno a Donovan Mitchell e si limita a un cambio di guida tecnica: fuori Bickerstaff, direzione Detroit, dentro Atkinson. Il rischio è un’altra stagione regolare di grande spessore per poi sgonfiarsi ai playoff, al contrario degli Orlando Magic, che col rinforzo mirato di Kentavious Caldwell-Pope serrano i ranghi di una difesa già rognosissima: attenzione a Banchero e soci. Sarà dura la riconferma per gli ottimi Indiana Pacers, finalisti di Conference in carica, che hanno scelto un mercato conservativo per non rompere gli equilibri attorno a Haliburton e compagni. Menzione d’onore per Miami, perché la guida sempre Erik Spoelstra e perché con Jimmy Butler nei paraggi – anche da potenziale free agent – non c’è mai da stare tranquilli.
Da Chicago in giù invece è caccia al miracolo (o quantomeno al play-in). I Bulls del dopo DeRozan sanno tanto di ricostruzione, può approfittarne Atlanta grazie all’arrivo di Zaccharie Risacher: prima scelta assoluta al Draft, sembra un Wemby “mignon” (ala piccola da 2 metri e 6) non solo per la nazionalità. Toronto è una squadra inesperta senza primi violini, sull’asse Ball-Miller salgono le quotazioni di Charlotte, Brooklyn e Washington sono due cantieri aperti: i Wizards se non altro hanno aggiunto Valanciunas. E Detroit? Dopo i disastri degli ultimi mesi – con tanto di 28 ko di fila – l’intelligenza tattica di Simone Fontecchio sarà la carta migliore per restituire dignità alla franchigia. Anche perché peggio, difficile.
WESTERN CONFERENCE
Si riparte da Jokic, e non solo perché è l’Mvp per la terza volta nelle ultime quattro stagioni. Nell’ultima i suoi Nuggets si sono fatti sorprendere ai playoff dagli arrembanti T’Wolves, ma rischia di essere una di quelle scottate salutari: il roster c’è, Murray e Porter Jr. dovranno tenere il ritmo del serbo, l’estro un po’ agé di Russell Westbrook (in arrivo dai Clippers) può sparigliare le carte dalla panchina. L’anello di due anni fa non è un miraggio. Sognano pure i Mavericks, che l’hanno accarezzato lo scorso giugno: se a tradire Doncic e compagni era stata la mancanza di un cecchino da oltre l’arco, beh, problema risolto. Dallas accoglie infatti Klay Thompson, che per la prima volta in carriera lascia Golden State: visti i numeri recenti, urgevano nuove motivazioni. Punto esclamativo anche per Oklahoma: l’esperienza di Caruso e il peso sotto canestro di Hartenstein toccano le corde giuste dei giovani Thunder a trazione Shai. Erano la grande sorpresa, sono già una realtà. Scommessa da novanta invece per Minnesota, che con l’addio di Towns rischia grosso: se Julius Randle riuscirà a sopperire al dominicano, la sensazione è che Gobert e soci (fattore DiVincenzo) potrebbero averci perfino guadagnato in difesa. Ma è un grandissimo se.
Un gradino sotto le big troviamo i Lakers, che per gli annali hanno già fatto la storia: il quasi quarantenne Lebron e il ventenne Bronny saranno la prima coppia padre-figlio a giocare in Nba nella stessa stagione e nella stessa squadra. Se oltre il marketing e le suggestioni diventerà un valore tecnico aggiunto (la crescita di James Jr. era stata interrotta da gravi problemi di salute), la Los Angeles gialloviola tornerà a divertirsi. Ma in ogni caso da outsider, anche perché J.J. Redick – per due decenni tiratore infallibile – come coach è un esordiente assoluto. Cambio in panchina anche a Phoenix, dove Mike Budenholzer sarà chiamato ad alzare il rendimento di un trio stellare (Durant, Booker, Beal: ad avercene) fin qui soltanto sulla carta. Fari puntati sulla risalita di Memphis, che dopo un’annata falcidiata dagli infortuni sta ritrovando il miglior Ja Morant: diventare la mina vagante dei playoff è un obiettivo alla portata. Stesso andazzo per i Kings, che avevano mancato la post-season ma hanno tutte le carte in regola per tornare in alto: DeMar DeRozan è il jolly d’esperienza necessario per una squadra che sotto Mike Brown mostra un gran bel basket. Più defilate, ma sempre in lizza fra le migliori otto, New Orleans e Golden State: Dejounte Murray da Atlanta è un bel colpo per i Pelicans, dove Zion Williamson è sempre più l’uomo-franchigia, mentre la separazione degli Splash Brothers è sintomo di rifondazione in casa Warriors. Ma se nei momenti decisivi ritroveremo il Curry versione Parigi 2024, game over.
E veniamo alle note dolenti. L’infortunio di Kawhi Leonard – non si sa di quale entità, ma la storia del giocatore non promette bene – rischia di pesare come un macigno per i Clippers: senza nemmeno più George e Westbrook, di colpo la squadra s’è ritrovata senza i suoi veterani. Tranne James Harden, che a 35 anni però difficilmente potrà fare gli straordinari. Almeno in chiave play-in potrebbe rilanciarsi Houston, che sulla direttrice VanVleet-Brooks-Sengun l’anno scorso aveva ben figurato. Più indietro San Antonio, nonostante la novità Chris Paul: assist pregiati in arrivo per Wembanyama, il bersaglio minimo è migliorare il modesto 26,8 per cento di vittorie delle ultime due stagioni. Si riducono le frecce all’arco di Utah oltre a Lauri Markkanen. Mentre a Portland, poca roba attorno alla stazza di Deandre Ayton. Quale sarà la pecora nera del torneo?
Il Foglio sportivo