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L'attesa di padre LeBron James

Andrea Lamperti

Prima di chiudere la carriera la stella dei Lakers vuole giocare con il figlio in Nba

Ancora una volta, a LeBron James è bastato schioccare le dita per riportare il figlio LeBron Raymone “Bronny” James Jr. sulle prime pagine dei giornali. Era già accaduto in passato che LeBron sfruttasse la visibilità della sua piattaforma – attraverso tweet, interviste e partecipazioni (attive) alle partite del figlio – per l’endorsement più genuino che si possa immaginare: “Sono cresciuto senza un padre, e voglio dare ai miei figli tutto il sostegno che io non ho avuto da giovane”. Nella speranza, un giorno, di vedere Bronny raccogliere il suo testimone nella lega che ha dominato per oltre un decennio, nell’arco di una leggendaria carriera di 19 stagioni.

In una recente intervista rilasciata a The Athletic, le parole di James non soltanto hanno alimentato nuovamente le attenzioni mediatiche sul percorso cestistico del “principe”, che alla Sierra Canyon High School sta completando la sua formazione liceale; questa volta, The King's Speech – tutt’altro che balbettato, anzi piuttosto perentorio – era rivolto a tutte le parti che saranno coinvolte nel percorso dei James (sì, entrambi) verso lo sbarco di Bronny in Nba: “La mia ultima stagione la giocherò insieme a Bronny, ovunque andrà a giocare. Farò tutto quello che è necessario per giocare almeno un anno in squadra con mio figlio”. Quindi chi si assicurerà le prestazioni di Bronny nel Draft 2024 – quando sarà eleggibile per l’Nba, salvo improbabili cambiamenti nel regolamento – dovrebbe mettere sotto contratto anche uno dei giocatori più importanti della storia del basket americano.

Nel peggiore degli scenari, considerando che LeBron avrà allora spento 39 candeline, si tratterebbe di un clamoroso colpo a livello mediatico e di marketing: un’occasione che, soprattutto per uno small market, sarebbe difficile da rifiutare. Se invece LeBron continuasse a dominare la sfida con l’età anche nelle prossime stagioni, allora in quel Draft si potrebbe assistere a un caso di due-per-uno senza precedenti. E alzi la mano chi, alla luce di una stagione intorno ai 30 punti di media (massimo in carriera) a 37 anni, scommetterebbe serenamente su un drastico declino fisico di James. In ogni caso, a prescindere da tutto questo, la coesistenza di un duo padre-figlio nella stessa squadra sarebbe un unicum storico per l’Nba, e un caso raro per lo sport ad alto livello. Nella lega si sono visti nel tempo diversi affari di famiglia: coppie di fratelli (i Gasol), figli d’arte che hanno seguito le orme del padre (come Tim Hardaway Jr, oppure Stephen e Seth Curry) e che in alcuni casi sono stati addirittura allenati dal genitore (Doc e Austin Rivers). Storie che, in ambito calcistico, abbiamo visto anche da noi, con Enrico e Federico Chiesa, la dinastia  Maldini e quella Mazzola, o ancora con i due figli fatti debuttare nel Real Madrid da Zidane. Tutti casi, però, in cui le carriere da giocatori si sono sviluppate a decenni di distanza. Le uniche due coppie con padre e figlio compagni di squadra che si ricordino ad alto livello risalgono agli anni Settanta nell’hockey (Gordie Howe e i due figli Mark e Marty a Houston). e nei Novanta nel baseball (Ken Griffey Jr. e Sr. con la maglia di Seattle). Nel calcio, sono invece passati alla storia Rivaldo e Rivaldinho nel Mogi Mirim, Serie B brasiliana.

Il basket italiano padre e figlio, e che padre e figlio, li ha messi uno contro l’altro: a Trieste e poi a Milano Dino Meneghin, a Varese, Andrea Meneghin. Quattro anni da avversari, il primo alle battute finali di una carriera straordinaria, il secondo all’inizio di un cammino che l’avrebbe portato a vincere un campionato e un Europeo.

Nelle sue 19 stagioni, il Re ha testimoniato il passaggio nella lega di diverse generazioni, tanto da aver affrontato ben sei figli d’arte di cui in precedenza aveva sfidato il padre: una curiosità statistica che fotografa la longevità  della sua carriera. Ora, tutto sembra pronto per il gran finale. Mancano però due anni al Draft 2024. E servirà fare attenzione al logoramento fisico di LeBron e al processo di crescita del giovane Bronny. Nell’ultimo anno all’high school e nella stagione da freshman al college sarà costantemente sotto la lente d’ingrandimento di scout e media. Dovrà dimostrarsi all’altezza, oltre che delle aspettative tecniche, delle enormi pressioni generate da questa situazione e dal suo ingombrante cognome, cosa non scontata per un ragazzo che deve ancora compiere 18 anni. La maggior parte dei siti specializzati lo proiettano alla fine del primo giro di chiamate o al secondo: non, sulla carta, il biglietto da visita di una futura stella, ma l’Nba non è fatta solo di superstar e il Draft è la scienza più inesatta che esista.

L’unica certezza è che LeBron si farà trovare pronto. Il suo attuale contratto ha una scadenza prevista a luglio 2023 e quest’estate dovrà decidere se estendere con i Lakers per altri 24 mesi. La plausibile alternativa è attendere l’anno prossimo, firmare un accordo di una stagione  e aspettare l’arrivo del figlio per decidere la sua, anzi la loro destinazione.

A quasi 20 anni di distanza dal Draft 2003, passato alla storia per la febbrile attesa di “The Chosen One”, è già iniziata l’attesa per “The Chosen’s Son”. 

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