Foto di Taylor Wilcox via Unsplash

Il Campidoglio si è dimenticato dei bambini disabili

Enrico Cicchetti

Niente sostegno a casa agli studenti con disabilità o svantaggiati e molti problemi per l'aiuto a distanza. Operatori senza stipendio e un protocollo regionale a cui il comune non ha ancora aderito

“I buoni rideranno e i cattivi piangeranno, quelli del Purgatorio un po' ridono e un po' piangono”. Ci si prepara a lasciare il nostro Purgatorio domestico, e così torna in mente uno degli esilaranti temi raccolti dal maestro Marcello D'Orta in Io speriamo che me la cavo. Mentre il paese sogna e agogna la fine del lockdown, e un po' - lentamente - prova a sorridere, la scuola continua un po' a piangere e a rappresentare una delle incognite principali nella riapertura. È un capitolo importante, non solo per quanto riguarda i tanto discussi esami di maturità (si faranno in presenza o meno?) o le possibili soluzioni per il prossimo settembre, ma anche perché i genitori dovranno tornare al lavoro e toccherà organizzarsi per poter lasciare a casa i figli. Il premier Giuseppe Conte ieri in conferenza stampa ha confermato che congedo parentale e bonus baby-sitter saranno validi anche nella cosiddetta fase due. Ma c'è una categoria di cui si è parlato poco, in questi due mesi di isolamento. Si chiamano Oepa, “operatori educativi per l'autonomia e la comunicazione”: sono quelli che erano conosciuti come Aec, gli assistenti educativo-culturali che a scuola facilitano il lavoro degli studenti con disabilità e dei loro insegnanti

  

Solo a Roma sono circa 3.000, dipendenti di cooperative che hanno contratti con l'ente locale per seguire in classe, dalle materne alle medie e insieme al docente di sostegno, i circa diecimila alunni con problemi diversi: dalle disabilità gravi ai disturbi del comportamento fino al disagio sociale. Non appartengono al personale scolastico, anche se lavorano nelle scuole. Questo significa che “quando le scuole chiudono, al di fuori delle ferie che maturiamo, noi non percepiamo stipendio”, dice al Foglio Pierluigi Verardi del comitato romano Aec. E con l'emergenza coronavirus questo paradosso è venuto subito a galla: “A Roma l'ultimo giorno lavorato è il 4 marzo”, dice, "e nella busta paga di marzo abbiamo visto una miseria, centocinquanta, centosettanta euro, a volte meno”. Insomma, quest'anno l'estate delle scuole è arrivata prima e per gli Oepa non è una buona notizia. Lo stipendio che hanno incassato si riferisce solo alla quota di lavorato pagata dalle coop: c'è chi lamenta di avere ricevuto 125 euro: “Devo pagarci mutuo, bollette, abbonamento, spesa”. C'è anche chi non ha incassato più di 152,80 euro: “Devo pagarci retta universitaria di mio figlio, affitto, bollette, spesa”. Chi 170 euro: "Ho un mese di affitto arretrato, perché mio marito non ha ricevuto la cassa integrazione, e due bimbi”.

 

In alcuni casi, gli Oepa hanno già ricevuto la quota Fis, il fondo di integrazione salariale; un ammortizzatore che spetta ai lavoratori subordinati di aziende nei settori commercio, servizi e turismo ai quali non è destinata la cassa integrazione ordinaria. Altrimenti, se le cooperative non lo hanno anticipato (solo le più grandi possono permetterselo, ci spiegano), si aspetta che sia l'Inps a pagare, con attese infinitamente più lunghe. Secondo il Comitato romano, gli Aec avrebbero potuto continuare a lavorare e non pesare sulla previdenza, già gravata dalle richieste di cassa integrazione di milioni di altri lavoratori in tutta Italia. “Sì, perché i soldi destinati al nostro impiego, il comune ce li ha già ma da capitolato di gara i dipendenti delle cooperative ricevono pagamenti solo per le ore effettivamente lavorate. Chiediamo ai comuni di utilizzare i fondi già stanziati a bilancio. Non ne servono di nuovi”. Che cos'è successo, insomma, e quali sono le possibili soluzioni?

    

  

Nei primi giorni di marzo, l'assessore alla Scuola del comune di Roma, Veronica Mammì, ha emesso una circolare che dava la possibilità di convertire le ore normalmente spese tra i banchi dagli Oepa in ore di aiuto allo studio a domicilio. Ma i sindacati si sono subito opposti, e non senza ragioni: inviare operatori nelle abitazioni rischiava di rendere vano il lockdown del governo e mettere in pericolo utenti e operatori. Così il 9 marzo, investito anche dal mailbombing dei lavoratori in attesa di risposte, il Campidoglio ha attivato il sostegno a distanza. Era del resto lo stesso decreto Cura Italia a prevederlo, all'articolo 48. E a richiedere una riprogettazione, “adottando specifici protocolli che definiscano tutte le misure necessarie per assicurare la massima tutela della salute di operatori ed utenti”. La regione Lazio, inoltre, ha firmato un accordo con sindacati, Anci, Forum Terzo Settore, Legacoop e Confcooperative che prevede di dare attuazione all'art. 48 e far ripartire i servizi per i più fragili.

 

Riprogettare la dimensione scuola. Il futuro è a settembre

“Abbiamo chiesto al Campidoglio, che è il più grande committente, di aderire al protocollo e di definire cosa gli operatori sono tenuti a fare”, dice al Foglio Giovanni Alfonsi, segretario Fp Cgil Roma e Lazio. “Al momento non abbiamo ottenuto risposta. Anzi, venerdì è stata rimandata una riunione con l'assessore Mammì che avrebbe potuto essere l'occasione di chiarimento”. Per ora tutto è stato lasciato in mano ai diversi municipi che, in qualità di stazioni appaltanti, hanno il compito di stipulare gli accordi con gli affidatari dei servizi. “La confusione che regna sovrana in comune, per una volta, è venuta utile: alcuni municipi hanno iniziato in autonomia a ricevere i progetti degli enti gestori su cui rimodulare i servizi”, dice Alfonsi. “Il rischio però è che la Corte dei Conti possa contestare il pagamento a fronte di una riduzione delle ore lavorate. Per questo era importante che si intervenisse dal centro: dall'avvocatura, dalla ragioneria, dai capi dipartimento. Per sciogliere i nodi e poi fare applicare una disciplina ai municipi, in sicurezza. Crediamo sia fondamentale una coprogettazione che si rivolga a tutti i soggetti attivi e che, sul lungo periodo, tenda a riprogettare l'intera dimensione scuola, con servizi che rispondano all'emergenza Covid”. Anche perché il futuro, a sentire molti esperti, comincerà già a settembre. 

  

“Si crede davvero - continua Alfonsi - che tenere un bambino autistico, poniamo, davanti al pc per 11 ore la settimana sia una soluzione valida? Qualcuno ha chiesto alle famiglie se sono disponibili a stare lì con lui, a casa, per quel tempo? E sono stati sentiti gli insegnanti?”. Se il sostengo a domicilio era impensabile, la didattica a distanza infatti pone altri interrogativi. Alcuni ragazzi, proprio per quel disagio sociale che richiede l’aiuto degli operatori, non hanno un pc o una connessione internet, segnalano ad esempio alcuni operatori sentiti dal Foglio. Altri non parlano, o hanno gravi problemi di attenzione e qualsiasi attività dietro lo schermo è molto faticosa. Lo stesso viceministro dell'Istruzione Anna Ascani ha detto che “la presenza in aula non può essere sostituita dalle piattaforme digitali. Ci hanno aiutato in questo momento drammatico, ma non potranno e non devono essere tutto”. 

 

Le richieste incrociate di famiglie e operatori. Nel mezzo, i bambini

“A volte alcuni di questi problemi apparentemente insormontabili mi sembrano delle scuse”, dice al Foglio C. la mamma di un bambino con disabilità che abita in un quartiere a nord-ovest della Capitale. “Mandare gli Oepa a domicilio era un rischio ma anche a distanza si può fare tanto: leggere un libro, fare una partita alla Playstation in collegamento... Con la tecnologia di oggi non servono attrezzature costose: basta uno smartphone, di quelli che abbiamo tutti in tasca, per fare una chat di gruppo con tre bambini e un operatore, su WhatsApp o su altre piattaforme gratuite. Anche solo collegarsi e salutare gli amici per mezz'ora al giorno è importante: serve socializzare con gli altri compagni, stare fra di loro e condividere la noia. Poter dire qualche parolaccia e farci su una risata”.

 

“Alcune mamme mi parlano di operatori che in questo periodo li hanno completamente abbandonati. Quello dell'Aec è un lavoro difficilissimo. Ed essendo anzitutto un lavoro va remunerato. Ma c'è anche qualcosa che va oltre lo stipendio. Fare l'Oepa non è come fare la commessa: devi instaurare un rapporto con i bambini, conoscerli, stare vicino a persone complicate, spesso isolate, ancora di più adesso. Con il lockdown che ha limitato le libertà siamo tutti in crisi, ma i bambini con disabilità hanno visto tagliata all'improvviso la loro routine, che è frenetica, fatta di terapie, riabilitazioni, incontri”. In altre parole: non si può chiedere di lavorare per due lire, ma questo mestiere richiede una passione e una dedizione fuori dal comune. E' un tema che ci segnalano molti operatori. Come Claudia Fonti, che lavora per una coop romana: “Nel caos di questo periodo sto continuando in autonomia: ho attivato un progetto estemporaneo, organizzato letture a puntate. Ho partecipato a videochiamate con la classe, creato dei video per il bambino che seguo. Cerco di essere presente. Questa crisi ha portato a galla in maniera inaspettata, violenta e imprevedibile le facce più brutte di molti contesti, tra i quali il terzo settore, il sociale che in concerto con le istituzioni (comune, municipi) sta facendo una triste figura”.

 

“L'emergenza sanitaria”, conferma Mariacira Battaglia, referente per la Cgil del terzo settore nel XIV municipio, è uno specchio che ora riflette impietosamente una situazione che prima era meno evidente per chi non la viveva direttamente. Manca la progettualità, il monitoraggio e il rispetto dei progetti nel terzo settore”. Insomma, è urgente che una linea, chiara e condivisa, la detti l'amministrazione capitolina. Altrimenti, chi ci rimette sono i bambini.

Di più su questi argomenti: