La solitudine delle famiglie con bambini disabili
Il sostegno alla didattica per 10 mila alunni fragili riparte adesso, a tre settimane dalle vacanze
La pandemia ha bloccato anche l'assistenza ai bambini con disabilità, tagliati fuori all'improvviso dalla loro routine e senza più supporto. Gli Oepa, “operatori educativi” che li aiutavano a scuola, sono senza lavoro dal 4 marzo e fino a data da destinarsi. Solo a Roma sono circa 3.000, dipendenti di cooperative che hanno contratti con l'ente locale per seguire in classe, dalle materne alle medie e insieme al docente di sostegno, gli oltre diecimila alunni con problemi diversi: dalle disabilità gravi ai disturbi del comportamento, fino al disagio sociale. Per molti si è attivato il Fis, il fondo di integrazione salariale. Un ammortizzatore che spetta alle aziende non destinatarie della cassa integrazione ordinaria. Ma solo le coop più grandi possono anticiparlo. I dipendenti delle altre aspettano l'Inps, con tutti i ritardi del caso (Claudio Di Berardino, assessore a Lavoro e Formazione della regione Lazio, ha detto che a fronte di 170 mila persone che hanno diritto, l'Inps ha pagato solo 17 mila casse integrazioni: il 10 per cento). Come se non bastasse il Fis dura solo 9 settimane e quindi non si può proseguire così ancora a lungo.
A circa tre settimane dalla fine dell'anno scolastico – e dopo due mesi di tira e molla del comune sui servizi di assistenza alla didattica – sembra avvicinarsi una soluzione. Venerdì 8 maggio Veronica Mammì, assessore alla Persona, Scuola e Comunità solidale della Capitale, ha sottoscritto un accordo con i municipi e i sindacati confederali (il testo integrale è qui). “Riparte il sostegno alla didattica, con interventi educativi profilati sulle singole esigenze”, dice al Foglio Giovanni Alfonsi di Fp Cgil. “Tremila lavoratori escono dalle sacche degli ammortizzatori sociali. E non si tratta solo di queste ultime settimane dell'anno scolastico. Se a settembre le amministrazioni decideranno che non si potrà ancora tornare in aula, l'assistenza ai bambini sarà garantita e il lavoro degli Oepa protetto”.
L'accordo punta a coinvolgere le famiglie e gli operatori nella co-progettazione degli interventi, dicono dalla Cgil, modulando le attività domiciliari e garantendo tutte le norme di sicurezza. Un'operatrice di una coop romana sentita dal Foglio dice che, per esempio, il bambino che lei segue, “a detta di terapiste, maestre e genitori, sta rispondendo molto bene alla didattica a distanza”. In questi casi si continuerà da remoto. Ma per altri è impensabile e le cause sono molteplici: dall'impossibilità di stare a lungo concentrati davanti a un monitor all'assenza di spazi adatti, fino all'uscita di casa che diventa essa stessa terapia. In questi casi è prevista l'assistenza a domicilio oppure nelle sedi dell'amministrazione, o una modalità mista. Una circolare dei primi di aprile già prevedeva di rimodulare le attività: da quel momento alcuni municipi hanno iniziato la co-progettazione che, stando all'intesa, sarà pagata agli Oepa come tempo di lavoro. Secondo Giovanni Caudo, presidente del III municipio, “su 492 ragazzi fragili, 414 hanno accolto la didattica a distanza. Ora ragioniamo sugli interventi domiciliari per i 78 mancanti e stiamo lavorando anche alla sanificazione di spazi scolastici come supporto alla domiciliazione. Il 100 per cento dei servizi è coperto”.
Nella nuova intesa col comune si prevede poi il rispetto dello stringente protocollo tra ministero della Salute e Cgil, Cisl e Uil per la salute e la sicurezza di operatori e utenti. Escluso dalla trattativa, il Comitato romano Aec - sostenuto dai sindacati di base - si chiede “come a Viale Manzoni pensino di garantire gli standard di sicurezza, che qualcuno dovrà pur verificare”. Tra gli scontenti ci sono anche alcune Consulte municipali. Dall'VIII municipio la presidente della Consulta permanente sui problemi delle persone disabili e della salute mentale parla di una scelta “estorta”: “Non c'è mai stata - dice al Foglio - una vera possibilità di scelta per le famiglie, come proposto nell'art. 48 del 'Cura Italia', che parla di 'prestazioni in forme individuali domiciliari o a distanza o resi nel rispetto delle direttive sanitarie negli stessi luoghi ove si svolgono normalmente i servizi'. La vedo come un'ingiustizia enorme verso le famiglie, già travolte dal peso di questo periodo”.
Dall'amministrazione capitolina rispondono però che “siccome il servizio oepa non rientra nei liveas, ovvero nei servizi essenziali alla persona, non è stato possibile passare al servizio domiciliare”, attivando automaticamente l'art. 48. Inoltre il testo di legge dice che devono essere le p.a. a rimodulare i servizi, e non cita le famiglie.
“E' importante – continua la presidente della Consulta – dare la facoltà di scegliere un supporto utile nel rispetto delle esigenze di ognuno. E se queste attività non fossero spendibili, si permetta di posporle ad un momento migliore”. Così però che fine fa la tutela del lavoro degli Oepa? “I lavoratori sono da tutelare, è chiaro. Non è una guerra tra famiglie e operatori, ma la priorità non è assicurare loro un welfare a spese dei diritti degli alunni con disabilità, unici titolari dei fondi a bilancio. I lavoratori, se ci fosse un recupero delle ore in un secondo momento, ne gioverebbero in seguito”.
“Famiglie e operatori sono i due anelli deboli in questa vicenda”, ribatte Mariella Tarquini, mamma di un bambino con disabilità. “Per riprogettare bisogna partire dalle singole realtà: ogni famiglia deve poter scegliere il supporto più utile al caso specifico”, dice al Foglio. “Quelli che vedranno aumentare le distanze rispetto ai pari, alla fine di questo drammatico e imprevisto momento, saranno i nostri figli, che a volte hanno avuto regressioni pazzesche. Da due mesi sono rimasti soli: sullo schermo ci sono i docenti e dietro, con i bambini, non c'è nessun operatore ma solo i caregiver familiari, allo stremo delle forze. Mi preme che l'Oepa di mio figlio abbia una corretta remunerazione, tanto che penso la soluzione sia internalizzarli. Ma d'altra parte ci siamo noi: le famiglie, che si sentono abbandonate”.
Forse sarebbe bastato coinvolgerle sin dal primo momento, ragionare insieme. Ora tocca ai municipi, nella speranza che si attui davvero quel “coordinamento tra le strutture territoriali responsabili dei servizi, gli enti gestori e le famiglie”, di cui parla l'assessore Mammì.
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