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Abbiamo l'occasione di ripensare finalmente il sistema scolastico italiano

Mario Leone

Tornare sui banchi è possibile. Ma il progetto è di ampio respiro

Lunedì 4 maggio 2,7 milioni di persone ritorneranno a lavoro. E’ l’inizio della tanto agognata fase 2, quella che prevede un alleggerimento delle misure restrittive, che permetta prima di tutto al tessuto produttivo di ripartire. Ripensare il sistema paese non è semplice e nessuno ha la bacchetta magica che realizzi mirabolanti soluzioni. Uno stato, però, che vuole risollevarsi (anche dal punto di vista economico) non può e non deve dimenticare la scuola.

 

C’è prima di tutto un rebus da risolvere ricordato la scorsa settimana in EuPorn, l’inserto curato da Paola Peduzzi e Micol Flammini: in una famiglia dove papà e mamma lavorano, avere i figli a casa è un problema serio. I nonni, se ci sono, devono essere preservati da possibili contagi di Covid, le baby sitter per intere giornate non sono facili da trovare e non tutti possono permettersi una spesa di questo tipo. Non solo. Con la possibilità di effettuare qualche spostamento, inizieranno a vagare per le strade delle nostre città gruppi di ragazzi sospesi tra una didattica a distanza e il nulla, e quindi preda di chiunque, nelle periferie anche della malavita. Ecco quindi la necessità di pensare un piano per la ripresa della scuola che vada di pari passo con la ripresa delle attività economiche.

 

Un piano su due livelli: il primo che conduca in porto questo particolarissimo e speriamo unico anno scolastico, il secondo che ponga le basi per quello che comincerà a settembre. Forse in pochi si rendono conto che quanto stiamo vivendo non è solo una mera parentesi, tanto poi ritornerà tutto come prima, ma occorre ragionare su nuove modalità che ci accompagneranno per lungo tempo. Aprire anche in Italia come stanno facendo altrove sarebbe impossibile? Nothing is impossible recita un fortunato spot. Vediamo cosa, nell’immediato, si potrebbe fare.

   

Per l’infanzia e la primaria, accogliere per alcune ore di mattina e pomeriggio gli alunni i cui genitori certificano l’impossibilità di effettuare lo smart working. Un supporto da offrire magari a giorni alterni, in modo tale da coinvolgere più alunni, in classi da massimo quindici unità, magari favorendo situazioni di didattica, gioco, sport all’aperto. Gli alunni che rimangono a casa possono invece usufruire della didattica a distanza, che con la scuola primaria presenta maggiori criticità. La DAD, invece, è più proficua nella scuola secondaria dove potrebbe essere strutturata accanto alla didattica in presenza. Lavorare da remoto poi potrebbe essere la modalità per tutte le riunioni scolastiche, gli incontri scuola-famiglia e le attività di segreteria. Potrebbe ripartire anche l’ultimo anno delle superiori, magari posticipato di una settimana per evitare repentini ingorghi su mezzi pubblici. Due turni da due ore di mattina e di pomeriggio in modo tale da evitare assembramenti. Qui non stiamo parlando di fare didattica in senso stretto ma di accompagnare i ragazzi verso un esame che non deve perdere totalmente di valore. La maturità in presenza è ancora possibile. Il contributo previsto per i commissari esterni (che lo stato risparmia) lo si riversi come incentivo sugli interni. Si utilizzino palestre e si dividano le classi in due per gli scritti mentre per l’orale si interroghino sei-otto persone al giorno. Certo si andrebbe a finire a fine luglio ma questo non è un reato e gli incentivi giustificherebbero questo surplus di lavoro.

  

Quanto al prossimo anno scolastico, è necessario ripensare da subito calendari e orari scolastici. La scuola può e deve lavorare su doppi turni, l’orario scolastico rimodulato (anche ridotto), la settimana impostata su sei giorni e l’anno scolastico pensato su undici mesi. Chi vieta alle scuole di essere aperte a giugno e luglio, anche solo su base volontaria, per chi vuole o ha bisogno perché i genitori lavorano? D’altronde gli insegnanti lavorano anche a luglio e quest’anno potrebbero farlo anche con i propri studenti.

  

L’emergenza Covid, volendo, potrebbe essere l’occasione per la scuola di mettere in discussione quel monolite composto da centralismo e rigidità per dare spazio alla flessibilità e a una vera autonomia degli istituti scolastici. E’ necessario rilanciare quel pluralismo educativo spiegato molto bene Ashley Berner della Johns Hopkins University nel suo ultimo libro Non scuola ma scuole (Edizioni Studium): “Non esiste la scuola ma le scuole che si adattano ai contesti e ai bisogni delle famiglie”. Questo significherebbe superare l’annosa questione scuole statali vs scuole paritarie, mettere seriamente le scuole in rete (e non solo per progetti spesso inutili) e finalmente ripartire dall’educazione. Per tutti e per ciascuno.

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