La critica, di rado esplicitata, alla pratica dell’homeschooling, è che lasci troppo potere alla famiglia, concepita come luogo dell’oppressione e dell’abuso

La lotta contro i genitori e l'homeschooling forzato

Una luminare di Harvard dice che il male dell’educazione è la famiglia, svelando l’ideologia che domina anche quando non abbiamo i figli a casa

La quarantena ha imposto ai genitori di mezzo mondo un regime di educazione misto, una combinazione fra homeschooling e scuola a distanza, dove la distribuzione percentuale fra i due elementi dipende da un numero cospicuo di fattori, fra cui l’impegno dello specifico istituto scolastico, le condizioni socioeconomiche delle famiglie, il mestiere dei genitori, la disponibilità di una connessione affidabile e via dicendo. Questa condizione emergenziale pone una miriade di problemi e quesiti che si trasformano in legittima frustrazione quando incontrano l’inadeguatezza tecnica, ma anche concettuale, di un ministero dell’Istruzione come quello italiano, che non ha un piano nemmeno vago per colmare l’asimmetria di una prospettata riapertura sotto condizione delle attività lavorative mentre le scuole saranno ancora chiuse, ma che in generale concepisce l’educazione come un servizio di sorveglianza dei minori mentre i genitori fanno altro. Al di là di questi aspetti, che tuttavia pesano come macigni sulle considerazioni che almeno qualcuna delle decine di task force istituite dal governo dovrebbe fare, il lockdown ha messo le famiglie e tutta la comunità educativa di fronte al problema del rapporto fra casa e scuola. Anzi, del problema della famiglia come supremo luogo educativo, messo in relazione con la scuola in quanto istituzione straordinaria e necessaria ma complementare.

 

Il lockdown ha messo le famiglie e tutta la comunità educativa di fronte al problema del rapporto fra casa e scuola

Giustamente in queste settimane si sono ricordate spesso le situazioni difficili di quei bambini e ragazzi per i quali la casa non è luogo di cura, attenzione ed educazione, quanto piuttosto di trascuratezza e perfino di abuso, circostanze in cui talvolta la scuola può essere un’ancora di salvezza; ma la questione posta dall’emergenza della pandemia va oltre quelli che (si spera) sono una minoranza di casi, che peraltro vanno affrontati con strumenti che vanno molto oltre quelli strettamente educativi. Si tratta qui di capire se la famiglia, la casa, sia il luogo sorgivo dell’educazione, l’ambiente ideale per la fioritura dei giovani, e dunque in che rapporto questa si ponga con l’istituzione scolastica; oppure se, al contrario, la famiglia sia in sé un contesto improntato all’oppressione, al plagio, al soffocamento dell’autonomia dei ragazzi, e dunque la convivenza forzata fra genitori e figli non faccia altro che mescolare e agitare reagenti che erano già lì, pronti a esplodere.

 

Una parte minoritaria ma crescente del mondo angloamericano – più americano che anglo – ha pensato di risolvere questa tensione riportando totalmente (o quasi) i compiti educativi nell’ambito della famiglia, con l’istituto dell’homeschooling, che coinvolge oggi circa il 3 per cento degli studenti americani. Homeschooling è un termine-ombrello sotto il quale sono radunate molte esperienze fra loro anche molto diverse. Intanto, il mondo degli homeschoolers si divide fra strutturati e non-strutturati. Gli strutturati seguono programmi, curriculum, si danno obiettivi formativi, prevedono compiti, test e criteri di valutazione; i non-strutturati non si muovono invece in un percorso analogo a quello scolastico. Fra gli strutturati ci sono poi quelli che organizzano strutture scolastiche di fatto, associandosi ad altre famiglie, e quelli che invece educano per lo più nell’ambiente domestico. Fra chi sceglie di non avere struttura ci sono quelli che prediligono l’autonomous learning, chi segue metodi di apprendimento “naturali”, gli adepti dell’unschooling e altre forme eterodosse di educazione accomunate dal rifiuto di un ordine organizzativo di riferimento. I genitori americani scelgono questa via educativa per diverse ragioni – fra queste spicca il desiderio di famiglie religiose, soprattutto evangeliche, di non esporre i figli alla cultura mainstream che disapprovano – ma a una lettura più approfondita il comune denominatore è la convinzione che la famiglia sia il contesto ideale per la formazione e l’educazione, qualunque concezione del mondo si abbracci. In Italia soltanto qualche migliaio di famiglie ha fatto questa scelta (giustificata dall’Articolo 30 della Costituzione, che parla del “dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli”) e in altri paesi, come la Germania, l’opzione è esplicitamente vietata. Ora, l’oggetto di questo pensiero dominante non è se l’homeschooling sia una trovata più o meno buona o praticabile, ma se l’idea della bontà preminente del contesto famigliare su cui si poggia abbia una sua validità, e se, per converso, in un certo dibattito sia normalmente avversata, di solito in maniera implicita.

 

“Pensiamo che i genitori debbano avere un controllo autoritario sui figli? Penso che sia pericoloso”, dice Elizabeth Bartholet

Un articolo dell’Harvard Magazine che sintetizza la posizione della professoressa Elizabeth Bartholet – che ad Harvard dirige anche il Child advocacy program, un programma di ricerca sui diritti dei minori – ha suscitato un certo dibattito, appunto perché l’intervistata esplicita idee negative assai diffuse sulla concezione della famiglia che anima gli homeschoolers, condizione che oggi centinaia di milioni di genitori si trovano a vivere, benché parzialmente e in forma temporanea. Bartholet, in sintesi, sostiene che la famiglia è una costruzione intimamente autoritaria, che perciò va limitata, moderata, tenuta a freno e addomesticata attraverso altre strutture. I ragazzi educati fuori dalla struttura scolastica, sostiene, sono privati del diritto a una “educazione significativa” e non saranno probabilmente in grado di contribuire alla società democratica. Bartholet lamenta che in America l’autorità dei genitori sulle scelte educative non è regolamentata, e questo ha permesso a tanti di fare homeschooling ai figli senza avere alcuna competenza: “Questo significa, nei fatti, che i genitori possono insegnare anche senza avere imparato essi stessi nulla”, talvolta nemmeno leggere e scrivere. Per la professoressa, i genitori sono i legittimi titolari di “diritti molto importanti sull’educazione dei figli in ottemperanza a certi principi e convinzioni in cui credono”, ma è altresì convinta che le ore della giornata passate a scuola non ledano questi diritti.

 

Questo il passaggio che ha fatto più discutere: “La questione è: pensiamo che i genitori debbano avere un controllo 24/7, essenzialmente autoritario sui loro figli da zero a diciotto anni? Penso che sia pericoloso. Penso che sia sempre pericoloso mettere persone senza potere nelle mani di persone con un potere, e concedere ai potenti autorità totale”. Come combattere il potere autoritario delle famiglie? Trasferendolo alle scuole, ai distretti scolastici, ai ministeri, a qualche potere vario che dia linee guida e programmi standard. In un certo senso, la professoressa di Harvard ha espresso apertis verbis ciò che normalmente rimane non detto, cioè una certa animosità ideologica verso l’istituto famigliare, specie verso la famiglia patriarcale,    che impone il suo giogo manipolatorio a innocenti che avrebbero bisogno di un protettore assai più benevolo. Lo stato, per dire, oppure il ministero dell’Istruzione italiano, se si vuole vedere la cosa più da vicino.

 

Certo, dice Bartholet, ci saranno fra gli homeschoolers anche ottime esperienze in cui i ragazzi leggono assieme ai genitori l’Iliade in greco antico e imparano i rudimenti dell’astrofisica osservando le stelle con il telescopio, ma il problema dell’intrinseco autoritarismo famigliare rimane. E si tratta di un problema che si può risolvere soltanto con l’intervento di un’autorità più forte: “Penso che se guardassero davvero la situazione, la maggioranza dei legislatori e del popolo americano capirebbe che qualcosa va fatto”, dice Bartholet, concludendo che i problemi non sono legati ai programmi deficitari degli homeschoolers, ma alla presenza autoritaria delle famiglie. Presto o tardi l’emergenza del Covid-19 finirà, le scuole riapriranno (perfino in Italia) e la prassi educativa sarà ristabilita, ma questo periodo di forzato semi-homeschooling, con tutte le fatiche, le lamentele, i problemi ma anche le opportunità e le scoperte che sta presentando è forse un momento propizio per riscoprire l’alleanza tra famiglia e scuola.

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