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Le (ir)ragionevoli ragioni dei bambini

Andrea Panzironi

Mia figlia ha avuto il suo primo cedimento da quando è iniziata la quarantena. Nei suoi occhi pieni di lacrime ho letto come una domanda: “Che fai, non capisci?” È vero, noi adulti non ci stiamo capendo nulla, o ben poco

Arianna Beatrice è la mia primogenita, ha sei anni. Suo fratellino Orlando Mario ne ha quattro. Sono due bimbi fortunati. Stanno bene in salute, hanno dei genitori che li adorano. Una nonna sempre vicina, altri due nonni distanti ma che non fanno mancare il loro affetto, diversi cugini e zii che non lesinano loro attenzioni ed amore.

In questo periodo di quarantena non hanno mai dato segni di cedimento, stanchezza, eccessiva noia. Marisa è una madre premurosa e attenta. Ed è un’artista e in quanto tale crea con loro. Hanno realizzato addirittura dei cartoni animati veri e propri! Abitiamo in una casa grande e comoda, i bimbi hanno la loro stanza, hanno un cortile da frequentare per fare giochi all’aria aperta e curare le piante. Abitiamo in un quartiere di Roma pieno di verde e di spazi visivi. Insomma la quarantena è uno strazio ma vissuta così passa molto meglio. Questione di fortuna soprattutto considerando altre situazioni e altri quartieri.

 

Ieri però mia figlia Arianna Beatrice ha avuto il primo cedimento. A tavola per la cena è scoppiata a piangere. Le mancano i suoi amichetti, le sue maestre, le sue abitudini di bambina. Mentre piangeva sulla spalla della madre mi guardava. I suoi occhi lucidi erano però fermi, non vibravano di disperazione come quando si tratta di un capriccio o di dolore dopo una caduta quando il pianto è l’inizio della cura. No. I suoi occhi mi parlavano di altro. Mi accusavano in quanto adulto. Mi accusavano di non voler e poter comprendere. Insomma dicevano chiaramente che loro, i bimbi, avrebbero la soluzione a tutto ma che nessuno li considera. Intanto il fratellino, che solitamente finge di non ascoltare le lamentele della sorellina, stavolta invece assecondava quello sguardo, anche lui mi guardava, come a dirmi: “Che fai, non capisci?”

No, ieri sera non capivo. Mentre le sue lacrime scendevano copiose mi interrogavo, è vero. Ma mi autoassolvevo. Che cosa dovrei fare di diverso rispetto a ciò che sto facendo? Sono un bravo padre, credo. Cioè faccio tutto ciò che dovrei, non faccio mancare il mio amore, spero. Insomma perché gli occhi di Arianna Beatrice mi trafiggevano come una spada? Perché venivo condannato?

 

Per fortuna molte coccole, un po’ di cioccolato e un buon cartone animato sono riusciti a lenire quel dolore e siamo riusciti ad andare a dormire accompagnati dalla dolcezza e abbracciati dalla tenerezza. Tutti e quattro nel lettone. I respiri si sono fatti lievi e ritmati. Le palpebre pesanti e il buio custode dei sogni. Stamattina al risveglio lei, la piccola Arianna, era accanto a me. Dormiva ancora. Mi sono alzato e l'ho baciata per salutarla. Lei senza svegliarsi si è girata dall’altra parte, continuando a dormire. Sono poi uscito di casa e eccomi ora qui, al volante.

Gli occhi di Arianna Beatrice però non mi lasciano, li vedo ovunque. Sulla strada vuota che ho davanti, nel cielo oggi grigio sopra di me, nei riflessi delle vetrine dei pochi negozi aperti. E nessuna risposta, nessun appiglio al quale agganciarmi, nessun barlume di ragione viene a galla.

Sono inchiodato da ieri sera nell’abisso oscuro dell’adultità, questa abitudine indotta del gioco dei ruoli. Hanno ragione loro, i bimbi. Noi adulti non ci stiamo capendo nulla. O ben poco. Lasciamo fare a loro, mi viene da pensare.

 

Il virus è un nemico invisibile e, proprio per questo, presente ovunque. Potrebbe essere già dentro di noi, oppure potrebbe non esistere affatto. Proprio come nelle fiabe dei bimbi, dove tutta la serissima finzione del momento è la cosa più reale che esista. Mostri, fate, gnomi, animali parlanti, pianeti lontanissimi, abissi profondissimi, stelle canterine e giganti buoni, e tanto altro ancora esistono veramente. Eppure quando l’ultimo frame del cartone animato svanisce nel nero oppure l’ultima pagina del libro porta la scritta fine, tutto finisce. Tutto, o quasi, passa.

 

Certo non sono così ingenuo da pensare che questo incubo a occhi aperti nel quale siamo immersi passi arrivando all’ultima pagina di un libro oppure spegnendo la TV. C’è la dura realtà da affrontare, sia come singoli cittadini, che devono fare appello al loro senso di responsabilità, sia come governo, che deve trovare il giusto punto di equilibrio tra tutela della salute pubblica e garanzia della libertà personale. Che fare?

Ci vorrebbe forse una nuova fiaba, che ci racconti quali sono i nuovi mostri e come affrontarli e sconfiggerli, scoprendo che forse non sono che le ombre ingigantite delle nostre antiche paure, proiettate sulle pareti delle moderne caverne che sono diventate le nostre case. E allora una fiaba potrebbe salvarci, aprire squarci di irragionevole ragione nel velo scuro di questa nebbia epocale che ci avvolge.

Non sono forse le fiabe il “luogo di tutte le ipotesi”, come ci diceva un grande indimenticato Maestro nato giusto cent'anni fa ?

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