Inaugurazione del parco giochi inclusivo di Villa Finzi a Milano (foto LaPresse)

La nuova Metropolis

Giulio Meotti

Turismo, bohème, ricchezza, amenità e servizi. Ma le città globali sono rimaste a corto di bambini

In “Metropolis”, il film-leggenda di Fritz Lang, siamo nell’anno Duemila e la società è divisa in due classi. Gli esseri superiori, indolenti e lascivi, sono materialmente separati dal lavoratori che vivono nelle viscere della terra e che si occupano di produzione e servizi. L’Onu ci informa che entro una generazione, il 70 per cento della popolazione mondiale vivrà nelle grandi città. Anche in occidente è l’epoca d’oro delle metropoli, dove il potere e la ricchezza sono massicciamente concentrate e la visione di Lang in qualche modo si realizza in termini non dispotici e cruenti.

 

E’ l’avvento della città come regno sempre più esclusivo della “classe creativa”, come l’ha definita Richard Florida in un suo famoso libro. “La classe creativa include le persone che si occupano di scienza e di ingegneria, di architettura e di design, di istruzione, di arte, di musica e intrattenimento, la cui funzione sociale è creare nuove idee, nuove tecnologie e nuovi contenuti creativi”, spiega Florida. Da qui un “rinascimento urbano” attorno a concerti, locali e vita notturna per attirare nel nome della “tolleranza” artisti, scrittori e uomini di spettacolo. Per misurare quanti ne arrivano, Florida usa l’“indice bohème”. Ora se ne aggiunge un altro: il drastico calo di nascite e bambini.

 

In un saggio molto discusso sull’Atlantic, Derek Thompson ha scritto che “il futuro della città è di essere senza bambini”

“L’anno scorso, per la prima volta in quattro decenni, a New York City è successo qualcosa di strano”, ha appena scritto Derek Thompson sul mensile Atlantic in uno dei saggi più discussi e controversi in America. Thompson è uno dei migliori giornalisti a fotografare la società. “In un anno di non-recessione, la popolazione si è ridotta. In teoria, stiamo vivendo l’epoca d’oro delle metropoli americane. La stessa storia viene ripetuta in tutto il paese: le periferie sporche e violente, tipizzate dalle ‘mean streets’ degli anni Settanta, negli anni Novanta sono diventate pulite e sicure. Negli anni Duemila, orde di giovani laureati si sono riversate in quartieri da brunch, e floride aziende li hanno seguiti aprendo uffici in centro. New York è l’emblema di questo rinascimento urbano”.

 

Eppure, la città ha assistito contemporaneamente a un fenomeno poco studiato. “Dal 2011, il numero di bambini nati a New York è diminuito del nove per cento nei cinque distretti e del quindici per cento a Manhattan (di questo passo, la popolazione infantile di Manhattan si sarà dimezzata in trent’anni). In quello stesso periodo, il numero netto di residenti che se ne sono andati da New York è raddoppiato”.

 

Ci sono molte ragioni per cui la popolazione newyorchese si sta restringendo, ma quasi tutte si riducono all’inevitabile fatto che crescere una famiglia in città è semplicemente troppo duro. E lo stesso vale per quasi ogni altra area urbana densamente popolata. In città ad alta densità come San Francisco, Seattle e Washington DC, “nessun gruppo demografico è aumentato più velocemente dei bianchi, ricchi, laureati e senza figli”, stando all’analisi dell’economista Jed Kolko. Di contro, in questi stessi luoghi le famiglie con figli sono in netto declino. Il quadro della situazione, visto dall’alto, rivela che al rinascimento urbano dell’America manca un elemento chiave: le nascite.

 

Secondo Camille Cavendish del Financial Times “non è un caso se i tassi di natalità più bassi al mondo si trovano nelle città globali”. Stiamo diventando una mega, unica Singapore. Se però le grandi città stanno perdendo persone, stanno crescendo in altri modi, specificamente in ricchezza e ossessione per il lavoro.

 

“Le venticinque aree metropolitane più ricche sono responsabili per più di metà dell’economia statunitense, secondo un’analisi di dati governativi condotta da Axios” prosegue Thompson. “In particolare, le città ricche sono specializzate nella nuova economia digitale: cinque città da sole raccolgono metà dei lavori del paese legati a internet. Questo benessere metropolitano è reso possibile dal sudore di giovani laureati, molti dei quali senza figli. In altre parole: lavoratori sufficientemente distaccati dalla vita di famiglia da poter riversare la propria esistenza nelle proprie carriere. Le città hanno effettivamente commerciato i propri figli, scambiando bambini per capitale. I laureati discendono nelle città, ingurgitano pasti veloci e casuali, emettono i fumi del troppo lavoro, si lavano e, quando i loro figli sono abbastanza grandi da saper scrivere, si ritirano in città più piccole o nei sobborghi. E’ un fenomeno che va da costa a costa: a Washington DC, questo secolo, la popolazione totale è aumentata del venti per cento, ma il numero di bambini sotto i diciott’anni d’età è declinato. Nel frattempo, San Francisco ha il tasso di bambini più basso di tutte le più grandi cento città d’America. Ok, starete pensando: e allora? I single felici non sono una tragedia. Il non avere figli non è un peccato. Non vi è nessun obbligo etico di sposarsi e accoppiarsi finché la fertilità non supera il tasso di sostituzione”. 

 

“Le città più ricche sono diventate magneti per masse ridondanti di giovani liberal benestanti”

Che cosa c’è di male in una città senza bambini? “E’ incoerente per gli americani parlare di eguaglianza di opportunità in un’economia in cui il lavoro che paga tanto è concentrato in pochi luoghi, come San Francisco e Manhattan, dove il salario medio di un nucleo familiare è sei volte la media nazionale. La crescita economica diffusa sarà sempre più difficile in un’epoca di città-pigliatutto. Nel 2018, il tasso di fertilità degli Stati Uniti ha raggiunto il suo minimo storico”. Senza immigrazione sostenuta, gli Stati Uniti potrebbero ridursi in popolazione per la prima volta dalla Prima guerra mondiale.

 

“Il sottopopolamento sarebbe un grave problema economico (è associato a minore dinamismo e produttività), nonché una catastrofe fiscale. Inoltre, le città senza figli esacerbano il dilemma urbano-rurale che oggi definisce la politica americana. Con le sue ricche città blu e le sue grandi pianure rurali rosse, gli Stati Uniti hanno un’economia che favorisce le zone ad alta densità ma un sistema elettorale che favorisce quelle sottopopolate”.

 

Questa discrasia ha tutti gli ingredienti per una crisi costituzionale. “Le città più ricche sono diventate magneti per masse ridondanti di giovani liberal benestanti, rendendoli elettoralmente impotenti. Esiste una soluzione per le città senza figli? Certo, le zone centrali possono essere rese più accessibili alle famiglie. I sindaci possono essere più aggressivi con le forze del provincialismo egoista, costruendo case più economiche in aree circostanti ai centri i urbani. Il governo federale può sostenerli. Il problema però è che alcune delle cause sono troppo grandi per essere risolte da qualsiasi città. Per quegli americani giovani o di mezz’età che stanno effettivamente facendo sesso e bambini, le città più piccole e le periferie residenziali potrebbero semplicemente essere un posto migliore in cui vivere. E’ simile a una divisione del lavoro: le ricche città americane si specializzano in persone giovani, ricche e senza prole. I sobborghi si specializzano in genitori. La città senza figli, forse, è inevitabile”. Nel suo libro “The human city”, anche Joel Kotkin spiegava che città come San Francisco hanno “il maggior numero di famiglie senza figli” e che “la popolazione complessiva di Chicago nella percentuale di persone dai cinque ai diciannove anni è diminuita del 19 percento”.

 

Barcellona sta diventando sempre più grande, ma ha anche uno dei tassi di natalità più bassi di tutto l’occidente

Il fenomeno descritto magistralmente da Thompson sta diventando un modello in tutto l’occidente ricco. Il numero di persone che vivono nel dipartimento di Parigi, o la sua area amministrativa, è diminuito in media di 11,900 persone all’anno tra il 2011 e il 2016. New York City ha perso 39,500 persone nel 2018 e 37,700 l’anno prima. Il movimento netto di persone che lasciano Londra è stato di oltre 100 mila in un anno. Shlomo Angel, americano e uno dei maggiori esperti di pianificazione urbana, al Financial Times ha spiegato che coloro che rimangono nelle principali città globali tendono ad essere “più ricchi e con famiglie più piccole e single che possono anche permettersi di rimanere. Scambiano le persone migliori con le persone più povere e aumenta l’omogeneità”.

 

“Londra sta diventando una città senza figli”, titola il Guardian. “Stiamo assistendo alla scomparsa di bambini dalla zona uno. Le famiglie trovano impossibile continuare a vivere nella zona due. Sempre più genitori non possono permettersi di vivere nelle zone tre, quattro e cinque”. “La città senza figli. E’ alla moda, è divertente – ma dove sono le famiglie?”, si chiedono due studiosi americani, Ali Modarres e Joel Kotkin.

 

Ma la formulazione più convincente della “città post-familiare” viene dai sociologi Richard Lloyd e Terry Nichols Clark, che vedono la città occidentale come una “macchina di intrattenimento”. A loro avviso, chi vive in città “può sperimentare la propria realtà urbana come se fosse un turista. Le scuole, le chiese e le associazioni di quartiere non formano più la base della città. Invece, la città ruota attorno ad attività ricreative, arte, cultura e ristoranti, un sistema costruito per appena liberato”.

 

In Spagna, il fenomeno è esemplificato da Barcellona, che cresce a dismisura nonostante il bassissimo tasso di natalità. La popolazione di Barcellona supera 1,650,000 persone e cresce più velocemente di quanto abbia mai fatto. E il bilancio naturale è negativo: 2,349 persone in più sono morte a Barcellona rispetto a quelle nate in città, ma questo è compensato dal saldo migratorio positivo. Ogni anno le nascite si riducono del 4,7 per cento.

 

Genova, Milano, Torino, Roma: le città più grandi sono il ground zero della crisi demografica italiana

In Francia, Les Echos ci spiega che a Parigi il numero di bambini a scuola continua a diminuire. “E’ un fenomeno strutturale. Ogni anno, sempre meno bambini vengono educati a Parigi. Per l’anno scolastico 2019, le scuole della capitale avranno 1.400 bambini iscritti in meno rispetto allo scorso anno”. Anche le Monde ha pubblicato uno speciale sulla crisi dei bambini a Parigi. “Il numero di figli per donna è tradizionalmente inferiore a Parigi rispetto al resto della Francia, con i single proporzionalmente più numerosi. Il numero di famiglie è diminuito dal 2010 in quasi tutti i distretti tranne quelli nella periferia sud di Parigi.

 

E in Italia? E’ crollo demografico a Genova, secondo i dati Istat: in un anno, da gennaio a dicembre 2018, ci sono stati 8.207 morti e 3.432 nascite. A Torino, in un anno si è passati da 6,749 nascite nel 2016 a 6,154 nascite nel 2017. Nascono sempre meno bambini a Roma. Nel 2015 l’ammontare dei decessi ha superato di 5,326 unità quello delle nascite (rispettivamente 28,377 decessi contro 23,051 nascite). Nel 2017, le nascite ammontano a 21,147, un calo del 7,6 per cento rispetto al 2016.

 

Milano ha perso letteralmente la metà delle nascite in appena dieci anni: 17,681 nascite nel 2006, 13,682 nel 2014, 12,688 nel 2015 e giù ancora l’anno scorso. Dal 2006 al 2016, i nuovi bambini sono passati dai diciassettemila all’anno a diecimila. Nel 2017 ci sono state 11,644 nascite a fronte di 15,526 decessi. In un anno Milano ha perso quasi 4,000 persone. Richard Longworth, esperto delle città globali al Council on Global Affairs di Chicago, ha affermato che una popolazione in calo è “un sintomo di qualcosa, ma non necessariamente di uno stato globale in declino”. Il boom di Airbnb, gli alti prezzi delle case, la deindustrializzazione e la gentrificazione stanno spingendo fuori dalle città la classe media, il motore demografico di un paese, Secondo Longworth, “le città globali sono diventate simboli di disuguaglianza”. Terry Clark e Richard Lloyd sostengono che i servizi sono una parte sempre più importante di ciò che le città hanno da offrire: caffè all’aperto e ristoranti alla moda, gallerie d’arte e una scena musicale pulsante. “L’assenza di bambini suggerisce che gli yuppies sono meno interessati alle scuole e alle chiese come servizi. Piuttosto, sono entusiasti delle opportunità di svago, come piste ciclabili, ristoranti alla moda, bar, negozi e boutique”.

 

Dunque deposito di ricchezza, portale di turismo e di amenità, laboratorio di multiculturalismo e di disruption culturali, ma dietro la facciata scintillante anche una profonda fatiscenza. Metropolis è diventata vecchissima.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.