Greta Thunberg (foto LaPresse)

Undicesimo comandamento: non criticare Greta

Giulio Meotti

Così la polizia del pensiero colpisce i pensatori non allineati all’icona ambientalista

Roma. Negli anni Settanta un noto psichiatra svedese, Hans Lohmann, descrisse il suo paese come una “terribile società” affetta da una sorta di “freddo”, non misurabile in celsius, ma in gradi di conformismo e di un consenso assoluto che deve uniformare. Lohmann vide giusto, considerando il livello di adulazione che la stampa svedese tributa a Greta Thunberg. Non un articolo critico, non un passo falso, non uno sberleffo, non una punta di sarcasmo. Niente. Limhamns kyrka, una chiesa di Malmö, ha persino annunciato: “Proclamazione! Gesù di Nazareth ha nominato il successore, Greta Thunberg”.

 

Come si permettono allora questi giornalisti e intellettuali stranieri, questi maschi adulti, di maltrattare la ragazza che ha più a cuore l’ambiente e che è candidata al Nobel per la Pace? “Non ho mai visto una ragazza così giovane e con così tanti problemi trattata da tanti adulti come un guru”, ha scritto la scorsa settimana sull’Australian Andrew Bolt, noto e controverso columnist. Bolt ha parlato di un “rifiuto a scendere a compromessi che contribuisce a creare un altro giro di frenetico clamore mediatico per Greta, una delle figure messianiche più sorprendenti nella storia, e non intendo in senso positivo”.

 

Apriti cielo. Richieste di cacciare il columnist, denunce al Press Council australiano, condanne del mondo della disabilità. Contro Bolt si è espresso pure l’ex premier Kevin Rudd: “Bolt è poco più che un delinquente mediatico di Rupert Murdoch che si maschera da giornalista e diffonde il negazionismo climatico del suo padrone”. Come è un delinquente Christopher Caldwell, che sul New York Times ha appena firmato una column su Greta: “Le persone ne hanno abbastanza di equilibrio e prospettiva. Vogliono una devozione risoluta per il compito da svolgere. Quello che fornisce Greta”. E giù annunci sui social di cancellazione dell’abbonamento alla vecchia signora del giornalismo americano.

 

Caos ha suscitato anche l’articolo del filosofo francese Michel Onfray, che ha definito Greta “cyborg svedese”, “garanzia di moralizzazione della vita politica” e rappresentante tipica di un tempo di “re bambini” che riduce la scienza a “compendio di passaggi da recitare”. “Il peggio non viene da lei, ma da quegli adulti che sono contenti di farsi umiliare da una delle loro creature, un bambino che fa la lezione agli adulti, che non fiatano e sono persino contenti di ricevere dei colpi dalla loro progenie, stadio supremo del nichilismo”, ha scritto Onfray. Sull’Express gli ha risposto Alice Afanasenko dell’Associazione francese delle donne autistiche, che accusa il filosofo di “handifobia” e “misoginia” (paura dei disabili e delle donne), di “fantasie libidiche”, di “disprezzo dei giovani”, di “oscurantismo”, di “eterno fallocentrismo del pensiero francese”. Brendan O’Neill, direttore della rivista inglese Spiked, ha scritto che Greta è la “leader globale del culto green” e che quello che gli “eco-snob” le hanno fatto è imperdonabile. “Hanno pompato lei, e milioni di altri bambini, con la politica della paura. Hanno convinto la prossima generazione che il pianeta è sull’apice del disastro”. Il giorno dopo, O’Neill è stato massacrato dai soliti giornali, come il Guardian e l’Independent, che gli ha dato dell’“idiota”.

 

L’economista americano Tyler Cowen su Twitter tre giorni fa si è limitato a scrivere: “Greta, scendi dalla barca e prendi l’aereo”. E il filosofo francese Raphael Enthoven: “Le persone che difendono Greta sono affascinate dal proprio desiderio di essere ingannate. E’ cecità volontaria”. Sui social, e non solo, non sono state presa bene neppure queste dimostrazioni di “gretaphobia”. Il problema non è Greta, come è evidente, ma è il conformismo della società dello spettacolo che la adula. Sulla svedese salvatrice del mondo, è ammesso soltanto il tifo da stadio. E chi la critica, ha il tifo.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.