Guerra e immigrazione

“Bene la premier in Tunisia. Stabilizzare l'Africa, non solo per fermare gli sbarchi”. Intervista a Minniti

Gianluca De Rosa

L'ex ministro ne è convinto "Putin usa l’Africa come secondo fronte del conflitto ucraino". E sul nuovo patto per l'asilo: "E' insufficiente"

“In un mondo in cui ci sono due guerre e diversi conflitti civili di cui spesso ci dimentichiamo il movimento di persone va collocato dentro questa cornice, perché qualcuno può utilizzarlo come elemento di straordinaria pressione geopolitica all’interno di uno scenario di guerra asimmetrica”. Marco Minniti, ex ministro dell’Interno oggi presidente della fondazione Med-Or, ne è da tempo fermamente convinto: “Vladimir Putin usa l’Africa come secondo fronte del conflitto ucraino”. Le migrazioni – che Minniti chiama movimenti di persone “perché l’espressione rende meglio l’ordinarietà, ma anche l’inarrestabilità del fenomeno” – ne sono uno strumento. E quindi bene il nuovo patto sull’asilo europeo, bene i nuovi accordi firmati da Giorgia Meloni con la Tunisia, ma serve ragionare a più ampio spettro”. 


“Tutto – dice Minniti – è cominciato nel novembre del 2021 nel bosco di Bialowieza, la grande foresta che divide la Polonia, quindi l’Europa, dalla Bielorussia, quando, con un’operazione studiata a tavolino, al confine polacco furono spinti decine di migliaia di famiglie con donne e bambini, utilizzando per spostarli anche aerei civili. Si voleva saggiare, lo avremmo capito solo qualche mese più tardi con l’invasione dell’Ucraina, la tenuta dell’Europa davanti a un tale spinta”. Reagì malissimo: si divise, intere famiglie di profughi rimasero bloccate per settimane nella foresta, la Polonia eresse un muro. “Il test – sostiene Minniti – aveva dato i suoi frutti”. Poco più tardi scoppiò la guerra. “Uno degli effetti – dice l’ex ministro – fu la fuga di quasi 4,5 milioni di ucraini in Ue, ma qui ci fu la prima sorpresa: l’Europa questa volta mostrò una grande solidarietà”.

 

E’ da qui che secondo Minniti bisogna partire per capire qual è oggi il compito dei paesi europei. “Bisogna comprendere – dice – che quella che stiamo affrontando non è un’emergenza, serve quindi una visione politica per conciliare l’elemento della sicurezza dei cittadini con la volontà di essere solidali, senza dimenticarci che, negli Usa come in Europa, l’argomento immigrazione sarà cruciale per gli esiti elettorali”. Un equilibrio difficilissimo. “Ma in un mondo sull’orlo di una Sarajevo del terzo millennio – prosegue Minniti – i movimenti di persone devono essere governati seguendo un principio: favorire tutto quello che è legale e contrastare tutto quello che è illegale, senza consegnare le chiavi delle nostre democrazie ai trafficanti di esseri umani”. In quest’ottica, secondo lui, il recente accordo europeo sull’asilo è insufficiente. “Non supera il trattato di Dublino, introduce le redistribuzioni obbligatorie ma derogabili in cambio di denaro, come se la solidarietà fosse un principio monetizzabile, ma soprattutto rimane dentro l’Europa. Nel nuovo patto c’è una grande attenzione sui movimenti secondari, ma nulla si dice su quello che è il vero nodo: i movimenti primari. L’Italia fa comunque bene a sostenerlo per tenere aperta la prospettiva di un impegno europeo su questo”. Lo “schema Minnitti” è ormai noto: l’Europa dovrebbe trovare un accordo con l’Unione africana e le Nazioni unite per creare un grande meccanismo di ingressi regolari. “D’altronde – spiega – il rapporto tra i due continenti sarà sempre più stretto per via dello squilibrio demografico tra un’Europa che non fa più figli e un’Africa giovanissima”.  Ma anche se questa cornice ancora non c’è, alcuni accordi sembrano andare in questa direzione. La visita di Meloni in Tunisia di due giorni fa, ad esempio, è secondo Minniti “un’iniziativa importante, non solo per governare i movimenti di persone, ma per garantire la stabilità del Mediterraneo allargato”. Guardandosi intorno, in quel pezzo di Africa la situazione è quanto mai complicata. “Partiamo dall’ultima notizia – inizia Minniti – si è dimesso Abdoulaye Bathily, l’inviato speciale per la Libia delle Nazioni unite, il terzo che se ne va prima della fine del mandato, perché sta purtroppo passando l’idea che la Libia sia ormai un paese diviso in due grandi sfere di influenza, a est  Egitto e Russia,  a ovest la Turchia. Se questo dovesse essere confermato saremmo davanti a una grande sconfitta per l’ Europa”. C’è poi l’Egitto. Anche con questo paese l’Ue  ha stretto un  accordo da quasi 8 miliardi.  “Un fatto che più che aiutare al Sisi aiuta l’Europa”, dice Minniti. “Il rischio del collasso dell’Egitto è serissimo: da un lato ci sono i 300 mila profughi che fuggono dal Sudan in guerra, dall’altro il rischio dell’intervento israeliano a Rafah, da un altro ancora gli attacchi degli Houti che hanno ridotto del 50 per cento gli introiti dei pedaggi sul canale di Suez”. Eppure qualcuno potrebbe dire: perché in Tunisia aiutare Saied che non rispetta i diritti umani? Perché fare altrettanto in Egitto con al Sisi, anche lui un feroce autocrate? “In questo mondo sull’orlo del caos non ci si può limitare a denunciare, bisogna parlare con tutti, abbiamo già sperimentato che il collasso delle autocrazie non comporta automaticamente l’affermazione delle democrazie, basta pensare all’ Afghanistan e alla Libia”, dice Minniti. D’altronde non è questione di parti politiche. “C’è stato anche un terzo accordo, quello con la Mauritania, questa volta il paese capofila è stato la Spagna socialista, perché ci sono da limitare anche i movimenti verso le Canarie”. Tutti questi accordi sono stati fatti senza la cornice che Minniti auspicava con Onu e Unione africana. “Ma non penso – dice – che vadano buttati nel cestino, esporremmo il Mediterraneo a una destabilizzazione”. Il rischio, l’ex ministro lo dice senza girarci intorno, è quello di favorire Putin. “Wagner non c’è più, ma è solo una questione di nome, ora si chiama African legion, è arrivata in Niger completando la presenza russa nel Sahel proprio quando, dopo il colpo di Stato, è stato chiesto a francesi e americani di andare via. Solo l’Italia potrebbe rimanere con un contingente, nonostante la presenza russa sarebbe importante farlo”. Restare in Africa è centrale perché dice Minniti: “Le guerre dimostrano che il mondo unipolare è collassato e un multipolarismo virtuoso fatica a vedersi”. Per questo dice “oltre ad aumentare i motivi di cooperazione rispetto a quelli di competizione, dalla lotta al cambiamento climatico al contrasto del terrorismo”, ci sono almeno altre due cose da fare. Da un lato: “Bisogna approfittare della divaricazione strategica tra la Russia, che dalla destabilizzazione trae vantaggio, e la Cina che ne paga scotto,  basando il suo sistema sociale su un principio: la rinuncia alla libertà in cambio dell’uscita dalla povertà”. Dall’altro cercare una maggiore cooperazione con il sud del mondo, Africa in testa. “Un recente sondaggio nel Mediterraneo allargato dice che la maggioranza preferisce la Cina agli Usa, perché più credibile e rispettosa, noi dobbiamo colmare questo divario di credibilità dell’occidente”.

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