(foto Ansa)

Piani ambiziosi

Con il dl Coesione, in un colpo, il ministro factotum toglie poteri alle regioni e a Salvini

Giorgio Santilli

L’unico strumento che conosce Fitto in questa legislatura per far calare le sue riforme è la mannaia, cosa che gli crea parecchie inimicizie fra i governatori delle regioni e i colleghi ministri. Le tensioni di queste ore

L’ambizione di Raffaele Fitto è, come al solito, smisurata e stavolta l’obiettivo del decreto legge di riforma dei fondi europei e nazionali per la coesione è niente meno che “rimettere in moto 75 miliardi”.

Il ministro che vale mezzo governo, con le deleghe su Europa, Pnrr e Sud, sceglie con coerenza rispetto al lavoro fatto finora sul Pnrr sei settori strategici cui far arrivare questi fondi: risorse idriche, infrastrutture per il rischio idrogeologico, trasporti e mobilità sostenibile, energia, sostegno alle imprese per le transizioni digitale e verde. Difficile negare che queste siano le priorità del paese.

Ma l’unico strumento che conosce Fitto in questa legislatura per far calare le sue riforme è la mannaia, cosa che gli crea parecchie inimicizie fra i governatori delle regioni e i colleghi ministri. Non si smentisce neanche stavolta. Due passaggi del decreto legge bastano a raccontare le tensioni di queste ore.

Con un triplo salto mortale il ministro rivendica allo stato, e quindi a sé, “l’esercizio di una competenza legislativa esclusiva” sul tema dei fondi europei che sono competenza delle regioni in rapporto diretto con Bruxelles. Qui bisogna ricordare che, negli accordi di dettaglio sottoscritti fra regioni e Commissione europea per la ripartizione dei fondi di coesione, lo stato fa ordinariamente da spettatore e anche i regolamenti europei su questo aspetto sono molto chiari (al punto che la commissaria Ferreira aveva stoppato già una volta, nell’ottobre 2023, il ministro dal suo proposito).
Come riesce Fitto in questa operazione? Tirando in ballo l’attuazione del Pnrr su cui effettivamente lo stato ha una competenza esclusiva. Era stato lo stesso ministro a inserire nella revisione del Pnrr il punto nuovo di zecca 1.9.1, riforma dei fondi di coesione. Sostituendo alla carta della competenza fisiologica regionale della coesione la carta della competenza esclusiva dello stato sul Pnrr: il gioco è fatto. O almeno così ritiene Fitto.

Le regioni sono furiose, anche se il presidente di centrodestra della conferenza, Massimiliano Fedriga (Friuli-Venezia Giulia), non può esporsi troppo in piena campagna elettorale. Parleranno i “soliti” critici del ministro, Emiliano (Puglia) e soprattutto De Luca (Campania), ma la cosa davvero rilevante stavolta è che sul tavolo delle regioni gira già la bozza del ricorso alla Corte costituzionale. Su competenze di questo tenore nessuno può permettersi di giocare, come dimostrano un paio di riunioni recenti sui fondi per la sanità in cui Fedriga ha alzato la voce con il ministro.
Fitto la butta in politica e, oltre alla scelta di sei settori che nessuno gli potrà contestare nel merito, lancia a De Luca l’amo del finanziamento di Bagnoli per 1,2 miliardi come stralcio dell’accordo sulle risorse del Fondo sviluppo coesione (Fsc). Non è chiaro come la prenderà il governatore campano, ma il ministro prova a mettersi al riparo dall’accusa di voler tirare  per le lunghe gli accordi per la ripartizione dei fondi Fsc per le quattro grandi regioni del sud (ci sono anche Sicilia e Sardegna) che totalizzano il 62 per cento dei fondi (20,5 miliardi su 32).

Fin qui i governatori. Poi ci sono i colleghi ministri e il secondo passaggio politicamente cruciale del decreto legge. Già, perché Fitto ripete l’operazione  fatta con la revisione del Pnrr e soprattutto con la revisione del Piano nazionale complementare (Pnc), 30,6 miliardi che vuole riorganizzare personalmente processando le amministrazioni in ritardo e stilando con Giancarlo Giorgetti, entro sessanta giorni, una prima lista di opere da cancellare dal piano. Il Parlamento – nel convertire il decreto legge 19 – gli ha già dato un mezzo altolà su questo, introducendo l’intesa con la Conferenza stato-regioni-città come passaggio obbligato per riprogrammare il Pnc. E anche per evitare il caos infernale creato col taglio alle opere comunali nel Pnrr, costato al governo almeno sei mesi di stallo nella revisione del Pnrr.

Nel nuovo decreto legge sui fondi di coesione, Fitto chiama in causa un’altra cabina di regia ma, nella sostanza, ripete lo stesso accentramento decisionale: tutti i titolari di piani di coesione 2021-2027 – governatori e ministri – devono presentare a lui e alle sue strutture a Palazzo Chigi un elenco di opere prioritarie per ciascuno dei sei capitoli individuati. In questo modo, Fitto tenta di fare due operazioni con un solo colpo: cassare via tutte le opere che non rientrano nei capitoli prioritari e scegliere quali opere entreranno nel megapiano da 75 miliardi.
Chi non l’ha presa per niente bene, al solito, come già fu con la revisione del Pnrr e con la scure sulle opere del Pnc, è il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, che ha chiesto quali competenze abbia Fitto per scegliere strade e ferrovie da finanziare con i fondi europei di coesione e con il Fondo sviluppo coesione nazionale. Domanda niente affatto peregrina: qualcuno potrebbe sospettare che Fitto, non sazio delle deleghe pari a mezzo governo che ha già, voglia prendersi pure i poteri per governare il sistema infrastrutturale.
Non è ancora chiara la risposta che hanno dato Fitto e Meloni a questa legittima domanda di Salvini. E non è chiaro se il passaggio del decreto che accentra i poteri nelle mani di Fitto sarà sostituito da una norma orientata a maggiore collegialità.

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