No allo stato etico

David Allegranti

Marcucci, capogruppo pd al Senato, non vuole andare dove va Renzi (ma neanche dove va Bettini)

Roma. Giuseppe Conte? “Si può criticare, come tutti”. Il Pd? “Può essere solo riformista, o non è”. Ma Italia viva che fa? “A dire il vero, non l’ho capito”. Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato, è ottimista sulla fase 2 del governo Conte, ma ci tiene a spiegare che niente è dovuto. “Io credo che questa maggioranza durerà, nonostante le fibrillazioni. Andare al voto nel mezzo di un’emergenza e con in corso una riforma costituzionale sarebbe un’ipotesi estremamente rischiosa per il paese”. Certo, alcune cose devono essere sistemate. A partire dal Pd. C’è chi vede pulsioni “sovietizzanti”, per dirla con Giorgio Gori, nel Pd. “Il sindaco di Bergamo, se le vede, fa bene a denunciarle, perché io credo nei dibattiti e nei confronti aperti. In Parlamento però non sento quest’aria”. 

 

“Comunque”, aggiunge Marcucci, “per me riformismo e Pd sono la stessa cosa. Trovo stimolante e anche normale che ci sia un dibattito interno ricco, fatto di sensibilità culturali diverse, soprattutto in una situazione di emergenza sanitaria ed economica come quella che stiamo attraversando. Credo nel confronto e mai come oggi l’Italia ha bisogno di una politica progressista e riformista, che ha quindi un’attitudine al cambiamento ma che sa anche come come poterci arrivare, al cambiamento”. E non ci si arriva, dice Marcucci, “né con gli strappi né tantomeno con l’approccio etico allo stato. Lo dico a chi come Goffredo Bettini parla di ‘spazi morali’. Serve piuttosto un sano pragmatismo. Ma nel caso di Bettini continuo a essere l’inguaribile ottimista che sono: quando parla di ‘capitalismo cieco’ suppongo si riferisca agli eccessi di un certo tipo di capitalismo, alle posizioni dominanti, alla mancanza di concorrenza. Mi auguro che non voglia tornare al passato”. Per ora, comunque, “nel Pd nessuno si è spinto oltre il limite del confronto. Ci sono sensibilità diverse ma abbiamo una responsabilità enorme nei confronti del paese. In questa situazione è necessario tenere insieme il rispetto della libertà individuale, la dimensione della salute pubblica e la salvaguardia del sistema economico. L’aiuto statale, in questo momento necessario, non può comprimere la libertà d’intrapresa dei singoli individui”.

 

Ma l’azione del presidente del Consiglio può essere criticata o è lesa maestà? “Io per cultura non posso accettare che non si facciano critiche nei confronti di chiunque rivesta un ruolo pubblico. Poi dipende dalla matrice della critica. Se è distruttiva, è uno strumento negativo. Se serve per dare suggerimenti, creare un meccanismo virtuoso e cambiare le cose, allora ben venga. Le critiche del secondo approccio al governo Conte secondo me sono lecite, dovute e meritorie”.

 

E Italia Viva a quale gruppo appartiene? “Fino in fondo non l’ho capito. Ma le critiche strumentali non avrebbero la mia approvazione. E in quel caso bisognerebbe essere chiari. Prevalentemente però mi sembra che Italia viva si differenzi su temi specifici”. Ma se Italia viva se ne va che succede? “Penso che questa maggioranza possa durare. Penso anche che vivere in una coalizione sia complicato e sia un’arte difficile. Suggerisco ai miei alleati di rileggere qualcosa sul parlamentarismo della Prima Repubblica, specie quello degli anni 60, interventi in aula compresi. Nell’interesse del paese serve una sintesi fra posizioni e sensibilità diverse. Un compito che spetta al presidente del Consiglio, al quale suggerisco di provare lentamente a riparlamentarizzare le dinamiche della politica. Il governo ha fatto benissimo a usare strumenti d’emergenza come i dpcm in una certa fase, adesso però il Parlamento deve ritrovare centralità nel processo decisionale”.

 

Questo, peraltro, “aiuta ad attenuare le frizioni. Il confronto parlamentare serve perché è al Parlamento più che al governo che arrivano sensibilità diverse e quindi soluzioni diverse. Questi meccanismi servono per fare meglio. Il Parlamento va usato anche per questo”. I dpcm, dice Marcucci “sono uno strumento d’emergenza con un iter indipendente dal parlamento. Il governo ha fatto bene a usarli in una situazione d’emergenza. Ma progressivamente vanno usati sempre meno”.

 

Ma se le frizioni aumentassero e, poniamo, si aprissero gli spazi per coinvolgere Forza Italia, lei che direbbe? “Dalle forze di opposizione ci saremmo aspettati un contributo fattivo in una crisi come questa. Io, a parti invertite, lo avrei fatto. Certo, da Forza Italia c’è stato qualche segnale e dobbiamo avere il coraggio di riconoscerlo e supportarlo. Ma è cosa diversa da avere nuove maggioranze”.

 

I problemi dell’esecutivo, dunque, non mancano. Adesso c’è anche il duello fra Nino Di Matteo e Alfonso Bonafede. Lei da che parte sta? “Ogni volta che si giudica una situazione delicata come questa, dove poteri dello stato si muovono, diciamo così, con poca accortezza, non si può cambiare metodo di giudizio rispetto agli attori. Quindi mi sono sentito in dovere per primo di difendere in questa situazione Bonafede, con il quale ho avuto molti motivi per essere in disaccordo”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.