(foto LaPresse)

Emergenza e governo, l'incredibile storia di Giuseppe Castiglione

Carmelo Caruso

L’uomo del Cara di Mineo e della crisi migranti del 2011 da cinque anni vive in attesa di un processo

Roma. “Non vorrei trovarmi a loro posto perché mi sono trovato a loro posto”. E quando dice “loro” si riferisce a tutta la catena di comando che si sta misurando con l’emergenza. Da cinque anni, l’ex sottosegretario all’Agricoltura, Giuseppe Castiglione, vive in attesa di un processo per turbativa d’asta e per appalti assegnati con l’ossessione dell’urgenza: “Ho fatto presto. Ho rispettato la legge. Ero e sono certo della mia innocenza tanto da chiedere il rito immediato. Ma immediato non è stato. Da allora non si è tenuta neppure la prima udienza”. Nel 2011, da presidente della provincia di Catania, è stato chiamato ad allestire il più imponente centro d’accoglienza d’Europa, il Cara di Mineo: “E lo chiamarono modello proprio come oggi si chiama modello quello di Genova. L’Europa fece i complimenti. E ricordo ancora le pacche, gli applausi. Sono gli stessi che subito dopo iniziarono a parlarne come del più turpe dei sistemi”.

 

Il centro ha ospitato fino a cinque mila migranti, cinque mila sopravvissuti da curare, sfamare, proteggere. “I primi giorni – continua Castiglione – insieme ai miei collaboratori, sono andato personalmente a fare la spesa. Oltre mille migranti chiusi in attesa di essere esaminati. Sempre di vite e di libertà si trattava proprio come adesso”. E però, quella quarantena non ci riguardava e forse non si comprendeva: “Ma gli sbarchi continuavano e c’erano sindaci che dovevano calmare le loro comunità e poi prefetti, carabinieri. Tutti si interrogavano: “Che facciamo?” Sono passati anni e bisognerà ricostruire la verità giudiziaria ma chi ricostruirà quel clima, la tensione di quei giorni?”. Castiglione che ha scalato tutte le cariche – assessore regionale, vicepresidente, europarlamentare, deputato, sottosegretario – venne scelto come commissario per l’emergenza migranti perché nessun’altra figura istituzionale voleva caricarsi quella responsabilità: “Si arrivò a me perché altri dissero no”.

 

La procura di Catania è arrivata a lui attraverso la più sensazionale indagine contagio, quella di Mafia Capitale, e inseguendo le dichiarazioni di Luca Odevaine, che aveva ricoperto la carica di vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni e che era ritenuto, dagli addetti ai lavori, la figura più capace. In pratica, un virologo dell’integrazione. “Era stato presentato come il Maradona del suo settore. La mia colpa, se me ne rimprovero una, è stata credere che lo fosse”. Ingenuità? Castiglione risponde di no. “Ho in ogni caso rispettato tutte le procedure, anzi, ho preteso che gli appalti per la gestione venissero assegnati con gara. Potevo benissimo procedere in maniera più spedita grazie ai poteri che avevo. Sono stato più scrupoloso di quanto le norme prevedessero. Non è bastato. E credo che sia questo il nocciolo della questione. Quanto mi è accaduto non tocca solo me, ma la classe dirigente intera, riguarda questo tempo di task force, questo momento in cui mai, come prima, la politica è chiamata a compiere scelte. Vedo che si preferisce, anche per paura, diluirle, allontanarle. Guardate quante categorie stanno chiedendo lo scudo penale”. Rischieranno di finire indagati come lei? “Spero ovviamente di no anche se temo che per molti sarà così”. Non lo dice perché lo conforterebbe ma solo perché conosce le stazioni, le tappe.

 

La storia giudiziaria di Castiglione è “speciale” così come i poteri che gli vennero affidati. Dopo la gestione dell’emergenza, nel 2013, viene nominato sottosegretario all’Agricoltura per il Pdl e poi passa in Ncd. Per due anni non riceve nulla da parte della procura. Nel 2014 gli viene notificato il primo avviso di garanzia e sperimenta un inedito della giustizia: l’avviso di garanzia provvisorio. Racconta: “Indagavano su di me ma non sapevano per quale reato indagarmi”. Poi l’accusa si precisa e Castiglione entra così nella corsia dei tribunali e inizia a difendersi. “E mi spingo a dire che anche la politica sarà costretta a farlo e sempre di più”. Da commissario, Castiglione ha partecipato a tavoli tecnici, cabine di regia, monitoraggio, di sorveglianza. Quante sono le task force nascoste? “C’è una proliferazione ormai incontrollata, ma che risale ad anni precedenti. Le task force sono l’inevitabile. Ce lo potremo ancora permettere dopo il virus? Non sono altro che una patologia, una grave malattia del nostro sistema paese. Basti pensare che non si scrivono più le leggi ma leggi provvedimento che hanno lo scopo di puntualizzare ogni aspetto”. E ricorriamo perfino alla deroga. Poteri in deroga, in questo paese anche la sciagura lavorativa, la cassa integrazione, è in deroga. “E cosa era la deroga, cosa sono i poteri speciali se non quanto contestava il M5s? Questa emergenza è il suo trionfo, il trionfo dei decreti d’urgenza perché non ci possiamo permettere, giustamente, di perdere tempo. Sia chiaro. A parti invertite anche l’opposizione avrebbe fatto quello che rimprovera oggi alla maggioranza. La verità è che avremmo bisogno di un grande dibattito su cosa, come fare, chi deve fare. Ripeto quello che dicevo all’inizio: non vorrei trovarmi al posto di chi oggi decide”. C’è una prima data del suo processo? “Primo dicembre 2020. Verranno ascoltati i testimoni”. Le emergenze vanno affrontate ma forse è sempre meglio inventarsi un tavolo, una commissione, allontanarle. Non crede? “Rifarei tutto. Attendo la giustizia. Un politico ha come patrimonio solo la credibilità, ma, se ti tolgono quella, rimane solo la voglia e l’impossibilità di continuare a fare politica”.