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Tensioni della fase 2

Valerio Valentini

Le frizioni tra Minenna e Arcuri arrivano a Chigi e sulle mascherine il governo ha altri problemi

Roma. Quando scrivevamo, il 15 aprile scorso, che tra Domenico Arcuri e Marcello Minenna c’erano delle tensioni, col primo costretto in più occasioni a “rimediare a requisizioni rivelatesi non del tutto giustificate”, eravamo certi di quanto affermavamo. E questo nonostante la pronta precisazione di Minenna e Arcuri, che ci tennero a farci sapere che l’Agenzia delle Dogane (Adm) e la struttura Commissariale “hanno sin dall’inizio dell’emergenza operato in sinergia, l’una in qualità di soggetto attuatore dell’altra, e che in tali vesti hanno sempre collaborato proficuamente anche per quanto riguarda le procedure di requisizione”. La conferma stava in quella stessa rettifica: perché se è vero che l’Adm, diretta da Minenna, era stata nominata (il primo marzo) soggetto attuatore per le requisizioni, è altrettanto vero che quella stessa funzione era stata poi assegnata al comandante generale dei Carabinieri, e successivamente (il 2 aprile) anche al comandante generale della Guardia di finanza.

 

Inoltre lunedì, “Report” ha rivelato l’esistenza di una lettera con cui Arcuri, il primo aprile, dopo un sollecito andato a vuoto, chiedeva espressamente a Minenna, “per indifferibili e superiori” interessi nazionali, di “non procedere ad alcuna requisizione pro futuro di merce importata ed esportata in nome e per conto della società Medtronic”, colosso americano con sede in Emilia Romagna a cui erano stati requisiti alcuni dispositivi sanitari con procedure evidentemente non appropriate, se lo stesso Arcuri si è visto costretto a revocarle. La tensione tra la struttura commissariale e l’Adm è infine deflagrata, se è vero che nelle scorse ore anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, cui Arcuri risponde in linea diretta, è stato investito della faccenda. Del resto, il “nuovo corso” inaugurato da Minenna in Adm, di cui è diventato direttore nel febbraio scorso su spinta del M5s, ha provocato tensioni anche all’interno dell’Agenzia. Non solo per l’accentramento nella sua persona di poteri sempre maggiori (oltre alla direzione generale, ha avocato a sé anche quella sulle accise, sui giochi e sui tabacchi), ma anche per la sua abitudine di telefonare ai dipendenti dell’Adm in smart working per verificare che siano davvero operativi. Cosa che ha allarmato non poco il personale, visto che queste telefonate il direttore generale in persona, efficientissimo!, le effettuava sui cellulari aziendali anche di domenica. E che, in alcuni uffici, ai dipendenti era stato conseguentemente imposto di rendersi sempre reperibili anche ai loro telefoni personali.

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