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La pochade della politica sul dramma della recessione post Covid

Salvatore Merlo

Intorno al decreto economico scoppietta il teatro degli equivoci: Di Maio pensa di sostituire Conte (che ora si allea con Renzi)

Roma. “L’orizzonte è il 2023”, diceva Matteo Renzi collegato sabato in videoconferenza con i suoi colonnelli. “Non faremo nessuna crisi”, spiegava. E addirittura, su Giuseppe Conte, ecco che il capo di Italia viva si spingeva a dire che “fin qui aver avuto un premier non divisivo è stato utile a tutti”. E poi, provocando stupore tra i suoi stessi uomini: “Ho parlato con Conte”. Boom! Ma come? Che fine ha fatto il discorso pronunciato appena qualche settimana fa in Senato? E l’accusa rivolta al presidente del Consiglio di voler quasi fare il dittatorello, dov’è precipitata? Tutto scomparso, per adesso. Tanto più il momento sembra politico tanto più si avvicina al gioco di scommessa. E allora intorno al decreto antirecessione, al destino dello spaesato ministro Alfonso Bonafede su cui pende una mozione di sfiducia presentata dalla Lega, intorno al destino stesso del governo e dei suoi equilibri, adesso è tutto un gioco di specchi, capriole, strategie che rapidamente avvampano e forse altrettanto rapidamente si spengono. Dario Franceschini e Giuseppe Conte, Matteo Renzi e Luigi Di Maio, ciascuno seguendo una sua traiettoria, impegnato a sfilare ingannevoli assi di poker. Al punto che al Consiglio dei ministri, durato ancora una volta fino a tarda sera, all’improvviso, dopo settimane in cui lo strepitare sembrava monopolio di Renzi, è arrivato il colpo di scena. Ora sono i Cinque stelle che s’inalberano, frenano, si contorcono: e le banche, e la casta, e ricchi, e questo non si può e questo nemmeno… Inversione dei ruoli.

 

Così, mentre Conte, ricambiato, si faceva sempre più conciliante e carezzevole con Italia viva e il gruppo renziano, ecco che in questa stordente commedia degli equivoci d’un tratto lungo i corridoi di Palazzo Chigi e di Montecitorio esplodevano persino leggende, e il telefono senza fili portava a ciascuno la notizia, vera, falsa, verosimile: Di Maio è disposto a sostituire Conte, cerca un patto con Franceschini e il Pd. Un presidente del Consiglio grillino, forse lo stesso Di Maio, e in cambio il voto garantito del M5s per il Quirinale. A Franceschini? Chissà. Tutta una bellissima rappresentazione, una pochade nella quale il Palazzo, cronisti compresi, un tempo si sarebbero assai divertiti. Il potere e il suo teatro. Ma il pittoresco della politica italiana forse non diverte più come un tempo, anzi forse non diverte affatto e nemmeno funziona, perché fuori dal Palazzo c’è il Covid-19, c’è la recessione che avanza a lunghi passi tenebrosi, c’è la crisi che per l’Istat segna un crollo della produzione industriale del 28,4 per cento. E sono soltanto i dati di marzo. Il primo mese di lockdown. “Non c’è il pane e nemmeno le brioches”, dice infatti a telefono un ministro del Pd, che osserva tutto questo fermento contraddittorio, questa rappresentazione così antica e così fuori tempo, stucchevole e probabilmente persino vana, mentre l’atteso decreto ieri sera finiva oscurato dalle strategie di ciascuno. Ma tant’è. Infiniti e deliranti spacchi prospettici. Conte e Renzi improvvisamente alleati, in quanto entrambi spaventati dal governo di unità nazionale: Conte dovrebbe infatti lasciare Palazzo Chigi, e ovviamente non vuole, mentre Renzi già avverte il pericolo dell’irrilevanza. Cosa farebbe Renzi con la sua barca di 17 senatori annegata dentro una maggioranza con il Pd, la Lega e FI che sono invece navi da crociera? E quindi è così che gli avversari diventano alleati e gli alleati avversari, nello spazio d’una notte. Con i grillini che s’ubriacano delle fantasie ambiziose di Di Maio, che mentre gareggia con Conte nel gettare in pasto al pubblico la povera Silvia Romano crede anche di potergli sfilare il posto dandosi di gomito con Franceschini. E’ in questa melassa di spettacolo che ancora ieri sera il decreto sul rilancio economico s’impantanava, mentre le imprese rischiano di chiudere. Il prezzo del biglietto è forse diventato troppo caro.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.