Ottimismo sul Recovery Fund

“La Cina? L'Italia non si opporrà a un'indagine sull'origine del virus”. Parla il ministro Amendola

Valerio Valentini

“Non getto accuse contro nessuno, ma una commissione internazionale è il minimo sindacale. Il M5s non credo si opporrà”

Roma. Sarà perché s’è abituato, dice, a essere “un ministro controvento”, titolare degli Affari europei “in un’epoca in cui il disamore per l’Europa è forte”, ma Enzo Amendola afferma di professare, con gusto del paradosso, “l’ottimismo della volontà”. E dire che ottimista non pare neanche Romano Prodi, che pure europeista lo è di certo, sul futuro dell’Ue, dopo la decisione della Corte costituzionale tedesca. “Sul piano giuridico – dice Amendola – la supremazia della Corte europea su quella di Karlsruhe è evidente. Sul piano tecnico, sono convinto che la Bce, la cui indipendenza è alla base della politica monetaria dell’Ue, saprà dimostrare la congruità dei provvedimenti presi e la proporzionalità degli acquisti disposti nell’ambito di un progetto, quello del Pspp di Mario Draghi, che risale al 2015”.

 

E però il pronunciamento della Corte costituzionale tedesca ha rimesso in circolo quelle tossine in giro per l’Europa: la compattezza dell’Unione, il suo futuro, è a rischio? “La narrativa attuale, sui rischi della frammentazione dell’eurozona, è ben diversa da quella che portò Merkel e Sarkozy a passeggiare sulla spiaggia di Deauville nel 2010. Oggi serve una risposta comune di Bce, Commissione e Consiglio. Quanto ai sovranisti, so che tifano perché i negoziati difficili di queste settimane falliscano: ma se così fosse, sarebbe il fallimento anche dei loro sogni nazionalisti, perché nessun paese riuscirebbe a salvarsi da solo. Anche nel centrodestra italiano, di fronte a Lega e FdI incapaci di chiedere altro che la stampa di nuovo denaro dalla Bce, c’è chi, come dimostra Renato Brunetta, sa bene che la politica monetaria, da sola, non basta”.

 

Non sarà mica che, proprio in nome di un europeismo costruttivo, si pensa a far entrare in maggioranza FI? “Sono una persona semplice”, si schermisce lui. “Non riesco a vedere nessuna nuova maggioranza nel Parlamento italiano. Ma credo che in questa fase sia giusto ascoltare anche le voci di chi non è al governo. E del resto, se il Recovery Fund verrà davvero finanziato, come mi pare scontato, dall’emissione di bond comuni sarà merito non solo di questo esecutivo, ma anche di chi, come Tremonti o Prodi, questa battaglia la conduce da tempi non sospetti”. Sarà così che verrà alimentato, dunque? “Siamo in attesa della proposta da parte della Commissione, la prossima settimana. Mi pare scontato che la base giuridica del Fondo sia il Bilancio europeo del 2021-27, con un front load che permetta di anticiparne la creazione già a questa estate. Al momento le discussioni, serrate, riguardano la quantità di risorse e la loro natura di sussidi o prestiti”.

 

A giugno, però, avremo a disposizione gli altri tre pilastri: Bei, Sure, e soprattutto il Mes. Che per Paolo Gentiloni è un’“opportunità”, per Vito Crimi “uno strumento inutile e dannoso”. “Appena il negoziato sarà concluso, valuteremo se esiste il benché minimo rischio di procedure farraginose connesse a questa nuova linea di credito. Ma tutto verrà poi votato dal Parlamento italiano, senza che alcuna decisione venga presa nell’ombra di negoziati riservati”.

 

Nel frattempo, anche alla luce delle storture vere o presunte dell’Europa, c’è chi vagheggia, anche nel governo, un eventuale soccorso da parte della Cina. “Le scelte fatte dal precedente governo sulla Via della Seta le ho criticate allora, quando ero all’opposizione, e continuo a considerarle sbagliate ora. Questo esecutivo, però, a detta di tutti i suoi componenti, è saldamente euroatlantico. E proprio guardando agli effetti della crisi del Covid, credo che questa appartenenza non sia solo una questione di identità valoriale, ma anche di interessi. Il 55 per cento del nostro export è coi paesi dell’Ue; l’interscambio con la sola Polonia supera quello che abbiamo con la Cina. Dopo la crisi ci saranno catene di valore sempre più corte e sistemi economici più regionalizzati: mantenere un ruolo centrale in Europa e nell’Alleanza atlantica sarà vitale”.

 

C’è poi chi invoca un’indagine sulle origini del Covid. “Ho ancora salvato sul mio cellulare un tweet che l’Oms fece il 14 gennaio in cui le autorità cinesi negavano l’evidenza della trasmissione da uomo a uomo del coronavirus. Mi pare evidente che ci sia stata una scarsa condivisione di informazioni”. Colpa di Pechino? “Per disciplina diplomatica non getto accuse contro nessuno, ma in questo caso una commissione d’indagine indipendente, a livello internazionale, è il minimo sindacale. Non per andare a caccia di untori, ma per capire come affrontare il virus e prevenirne il ritorno in futuro”. Ma Di Maio s’è rifiutato di contraddire il regime cinese perfino quando reprimeva nel sangue le proteste ad Hong Hong. Figurarsi se ora il ministro degli Esteri accetterà di avallare un’indagine che a Pechino considerano come un attacco nei loro confronti. “Ho visto che anche il presidente Conte è tutt’altro che ostile a un’inchiesta in tal senso. E non ho dubbi che tutte le scelte di politica estera, nel pieno rispetto del lavoro di Di Maio, vengano compiute collegialmente dal governo e nell’esclusivo interesse del paese. D’altronde il ministro degli Esteri si è ripetutamente dichiarato europeista; e dopo una presa di posizione così netta da parte della Von der Leyen e di Josep Borrell sulla necessità di un’indagine per scoprire le origini del Covid, sarebbe assurdo che l’Italia si opponesse”.

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