Stefano Bonaccini (foto LaPresse)

Lezioni dal voto in Emilia-Romagna. Diario di un candidato

Giuliano Cazzola

Il coraggio delle “sardine” e un centrosinistra che, depurato dalle scorie gialle ed estremiste, potrebbe essere competitivo anche in un’elezione nazionale. Ora si può guardare con fiducia anche a eventuali elezioni anticipate

“Nebbia sulla Manica. Il Continente è isolato”. Si racconta che questo fosse un titolo del Times a testimonianza della centralità che i sudditi di sua maestà britannica attribuiscono alla loro isola. Mi è sempre tornata in mente questa frase ogni volta che sentivo dire (prima da parte di esponenti del governo e del Pd, ora, dopo la sconfitta anche di Salvini e dei suoi “compagni di merende”) che la consultazione elettorale in Emilia-Romagna costituiva un voto locale, che non avrebbe avuto conseguenze sul governo.

 

Il mio grande amico Michele Magno cita sempre una considerazione di Jean Delors: è meglio perdere un’elezione piuttosto che l’anima. Ecco. Una sconfitta della sinistra e, in particolare, del Pd, nella regione “rossa” non solo avrebbe fatto il giro del mondo in 80 secondi, ma sarebbe stata di quelle che dannano l’anima di una forza politica a scontare anni di purgatorio. E il governo Conte 2 – benché sostenuto da una maggioranza parlamentare – avrebbe fatto la figura di quei personaggi tragici di Peter Bruegel che si aiutano a convivere con i loro handicap: come il cieco che porta sulle spalle il paralitico.

 

Inciderà questo risultato sul governo nazionale? E’ la domanda che si pongono tutti, ma non è la questione più importante. In queste elezioni il governo non ha toccato palla (salvo inviare, seminascosto, qualche ministro o qualche esponente della maggioranza). Chi afferma che vi è stato un referendum sull’esecutivo e la maggioranza rossogialla sbaglia di grosso; perché nessuno, confermo nessuno, nell’ambito della coalizione vittoriosa si è preso la briga di sostenere e di riconoscersi nel Conte 2, prendendone anzi il più possibile le distanze. Stefano Bonaccini non avrebbe potuto fare una campagna elettorale diversa dal “giocare in casa”. Non aveva la forza né il ruolo per contrastare la campagna di carattere nazionale imposta da Matteo Salvini. Il governatore uscente aveva dalla sua parte una diffusa e bipartisan disistima per Lucia Borgonzoni. Alla fine questo elemento ha contato nel voto, perché gli emiliano-romagnoli sono persone pratiche che non vogliono affidare la loro “roba” a degli incapaci. Ma questo risultato non era scontato.

 

Il Capitano, resosi conto dell’insussistenza della propria candidata, ha preso in mano la situazione e ha spinto l’acceleratore sul versante nazionale. Dopo avere detto nei suoi comizi a strascico quattro parole sulla “liberazione” della regione oppressa senza avventurarsi a criticarne l’azione di governo, Salvini virava subito (incurante delle menzogne e di ogni regola di correttezza) sui temi a lui cari perché considerava la vittoria in Emilia-Romagna un passaggio decisivo di una strategia che potesse consentirgli, al più presto, di suonare al citofono di Palazzo Chigi. E qui Bonaccini si è trovato in difficoltà: sul fronte nazionale era totalmente scoperto e non poteva – non ne avrebbe avuto la forza – cambiare spartito. E’ a questo punto che è divenuto fondamentale e decisivo il ruolo del movimento delle “sardine”. Fin dal primo momento – con la manifestazione spontanea ed improvvisata del 14 novembre – questo “popolo antipopulista”, emerso dal buio, ha dato fiducia ad una campagna elettorale del governatore uscente che era iniziata sotto cattivi auspici e scarsa fiducia. Poi le “sardine” si sono assunte il compito di coprire l’ala disarmata dello schieramento di Bonaccini: attaccare il Capitano per quello che rappresenta, mettere in campo non solo le questioni del “buon governo”, ma quelle prioritarie ed essenziali della democrazia, della lotta ai valori “maledetti” della narrazione salviniana. Non hanno avuto paura di assumere su di sé i temi che, anche nel Pd, suggerivano cautela; hanno sventolato, senza se e senza ma, le bandiere della Ue; hanno saputo sconfessare lo stereotipo della condizione giovanile, il luogo comune imposto dai media al Paese. Non una parola, non un cartello, non l’effige di una sardina, tagliata nel cartone, a denunciare il precariato, le pensioni  del ministro Fornero, il Jobs act, la manomissione dell’articolo 18.

 

Le “sardine”, con il canto di Bella ciao, hanno fatto appello alla cultura della Resistenza che sta nel dna degli emiliano-romagnoli. E hanno avuto quel coraggio che la sinistra non è stata capace di darsi: vedere e denunciare in Salvini una minaccia per le istituzioni democratiche, pronta a piantare le radici nel territorio in cui, tra le due guerre del secolo scorso, sorse e prosperò il fascismo. Questa linea di condotta delle “sardine” è stata osservata con sospetto anche da settori della sinistra, che si rifiutano di prendere in considerazione il protofascismo del leader della Lega. Si è dimostrato, invece, che per vincere bisogna dire a Salvini quel che si merita.

 

Come scrisse Giuliano Ferrara, il Capitano non deve essere combattuto solo per quello che dice e fa, ma anche e soprattutto per quello che è. Da segnalare, poi, il cammino verso il baratro del M5s. Il Pd, uscito dalle urne emiliano-romagnole con un buon risultato, largamente imprevisto, non deve lasciarsi “mitridatizzare” dall’alleato di governo. L’esito delle elezioni in Emilia-Romagna va apprezzato da un altro angolo di visuale: nella compagine di Stefano Bonaccini mancavano pezzi dell’ultrasinistra perecottara e soprattutto i “grillini”. E’ stata la fortuna del governatore che i pentastellati si siano sfilati volontariamente; in alleanza con loro Bonaccini avrebbe perso. Adesso, però, il Pd deve chiedersi fino a che punto vale la pena di portarsi appresso un cadavere, quando la vittoria di Bonaccini dimostra che una coalizione di centrosinistra, depurata dalle scorie gialle ed estremiste, potrebbe essere competitiva anche in un’elezione nazionale. Su tale base, si può guardare con maggiore fiducia a eventuali elezioni anticipate, senza temere più, come in agosto, una vittoria scontata del centrodestra a trazione salviniana. Il motivo per cui è nato l’attuale governo potrebbe rivelarsi superato; e il centrosinistra riuscirebbe a vincere e a salvare l’anima.