Cosa succederà al governo dopo il voto delle regionali? Scenari
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Roma. “Noi siamo un po’ pazzi”, dice Gianluca Perilli. Parla, beninteso, di una “sana follia”, ma è difficile capire se ci sia più un avvertimento o un’autocritica, nella parole del capogruppo del M5s al Senato, che a metà pomeriggio si concede la pausa di una chiacchierata. “Ed essendo un po’ pazzi – spiega – potremmo anche compiere gesti apparentemente irragionevoli e ribaltare il tavolo, se le richieste del Pd fossero troppo alte”. Perché in fondo il problema è proprio questo. Con un partito normale, il copione sarebbe scritto. “Dopo il voto in Emilia ci sono tutte le condizioni per fare una verifica seria della volontà dei partiti di maggioranza di proseguire, e soprattutto di fare. Nessuno abbia la tentazione di pensare che ora basti tirare a campare”, rivendica, col tono di che mescola l’orgoglio con la preoccupazione, Salvatore Margiotta, sottosegretario ai Trasporti del Pd, che non a caso osa pronunciare ciò che fino a due giorni fa pareva impronunciabile: “Tra i vari nodi da sciogliere, c’è quello della revisione delle concessioni autostradali, che non si può più rinviare”. Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato, mette altra carne al fuoco: “C’è l’occasione giusta per ribadire alcuni concetti ai nostri partner. Innanzitutto la riforma Bonafede che va corretta, visto che Travaglio per fortuna non è al governo. E poi c’è la revisione, integrale, dei decreti sicurezza”. Perché, appunto, con un partito normale è così che si farebbe: dopo la batosta, lo si costringe a recedere dalle sue convinzioni più bislacche, inchiodandolo alla sua paura delle urne. Solo che il M5s non è un partito normale. E infatti Enzo Amendola, ministro per i Rapporti con l’Ue, di buon mattino spiega la cautela del Pd: “Nessuno farà richieste impossibili al M5s”.
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