L'opera di Tvboy “Le Tre Grazie” con Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio e Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Già in vista l'alleanza strategica. Un po' troppo

Giuliano Ferrara

La convergenza Pd-M5s annunciata come proposta in tv da Zingaretti ha tutta l’aria di una fuga in avanti. Un rilancio di sapore antisalviniano, senza che ci si chieda: abbiamo qualcosa da dire insieme al paese?

Il carro davanti ai buoi. Un’esagerazione. Una fuga in avanti. L’alleanza strategica tra Pd e grillini annunciata come proposta in tv da Nicola Zingaretti la vedo con scetticismo. Ero per un monocolore grillino con appoggio esterno del Pd. Vabbè, hanno scelto la convivenza in uno stesso governo. L’importante era restituire il senatore Salvini ai talk-show, dove esercita quasi indisturbato i suoi pieni poteri. E allora uno fa buon viso. Ma ora gran fretta, sospetta: si dovrebbe aspettare il frutto di un’evoluzione identitaria possibile tra i Cinque stelle, lo stesso Pd dovrebbe sistemare le proprie idee anche a prescindere dall’appello antitrucista, c’è da verificare l’andamento di una nuova maggioranza trasformista che non fa più scandalo di quella trasformista precedente, in termini di Realpolitik, c’è da far funzionare una manovra necessariamente fragile, ricostruire un rapporto efficace e non solo di convergenza con Bruxelles, c’è da rielaborare una politica estera e di sicurezza in emergenza, ristrutturare il potere e in particolare quello della comunicazione pubblica o di servizio pubblico, c’è da farsi venire coraggio anche etico, con quanto  succede di tragico in medio oriente, c’è da vedere come va nel novembre del 2020 negli Stati Uniti, c’è da costruire una maggioranza presidenziale in Parlamento che sia frutto di inventiva politica e stabilità per il 2022, riarticolando un sistema politico ferito dalla tempesta ormonale dei ducisti, specie nel suo rapporto con l’opinione pubblica. Una graduale convergenza sul terreno del possibile, d’accordo, la ricerca di un lavoro comune nelle regioni in lizza elettorale, d’accordo, e forse qualcuno dovrebbe discuterla con impegno, spirito di persuasione, reciprocità, questa convergenza, ma così, con un annuncio tv di buone intenzioni, bè, mi sembra un azzardo.

 

Non è solo una faccenda di vaffanculo, di Casaleggio, di quell’armata Brancaleone anticasta che sono i grillini. C’è la questione della legge elettorale. Il sistema maggioritario in Italia è fallito, ha ragione Francesco Cundari: è fallito quando Berlusconi fu ribaltato, e quando egli stesso invitò gli elettori a andare al mare in occasione del referendum che aboliva la quota proporzionale del Mattarellum, era politicamente fallito quando fu ritirato con la coda tra le gambe il decreto Biondi, è fallito quando si ricorse al Porcellum, quando Bersani fece uso confortevole ma inane del Porcellum, quando la Corte costituzionale lo cassò perché eccessivamente maggioritario, quando il ballottaggio fu sconfitto dall’accozzaglia nell’ultimo referendum, quello renziano. Il sistema e la società hanno invalidato i benefici evidenti di una prospettiva maggioritaria e di riformismo costituzionale, non si sono trasformati i partiti, i cartelli elettorali, i governi di coalizione, insomma non si è affermato il complemento bipartitico, almeno tendenzialmente, che la vocazione maggioritaria per governi stabili e fattivi, con un’investitura chiara e la riparo dagli eccessi del parlamentarismo, implicava necessariamente. E a questo punto che si fa? Non una realistica gimkana tra desistenze e liste civiche per le regioni, e una altrettanto realistica legge elettorale proporzionale, no, si fa un rilancio di esclusivo sapore antisalviniano, peraltro a me graditissimo, dell’aritmetica elettorale elementare: siamo il 48 per cento. Ma non ci si domanda con altrettanta nettezza: siamo un possibile soggetto politico e un cartello elettorale credibile? Abbiamo qualcosa da dire insieme al paese che non sia l’unità di comportamento contro il ritorno dei brubru? 

 

Non so, posso sbagliarmi, ma i tatticismi sono pericolosi, oltre un certo limite, e ogni limite ha la sua pazienza, come diceva Totò. Tutti sono alla ricerca di una chiave facile di lettura del futuro politico. Nessuno vuole sobbarcarsi la fatica di preparare il campo, discernere i problemi in contatto con l’umore profondo degli italiani e con le mutazioni in atto nel mondo e in Europa, il tutto sempre meno decifrabile in verità, e allora nasce la tentazione di farla non facile ma semplicistica. Il centrodestra andrebbe normalizzato e desalvinizzato, non eccitato a ricostituirsi in pompa magna falsomaggioritaria. E per quanto Franceschini mi paia un uomo di governo tenace e capace, la sua parte in commedia di stratega della santa alleanza la vedo come un calcolo imprudente, non ne capisco le vere ragioni. In attesa di smentite.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.