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“Sui crocifissi il ministro fa solo folklore”. I presidi rispondono a Fioramonti

Carmelo Caruso

Girotondo per le scuole dello stivale, in cui più che il dibattito sul simbolo sacro interessa "non far venire giù i tetti"

Milano. Proponendo di toglierlo non ha fatto altro che metterlo. “Ma, credetemi, anche metterlo è difficile perché le risorse non basterebbero”, ci dice una dolcissima preside di Roma con poca voce e certo senza polemizzare con il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, “a cui auguriamo di fare bene e di risolvere le tante emergenze che vive la nostra scuola”. E dunque, tutti i presidi, che entrano e scappano dai loro uffici e dalle loro classi, alzano le spalle e sorridono quando sentono della proposta, che non è più proposta, di Fioramonti che si era detto pronto a togliere il crocifisso dalle scuole, da sostituire con delle cartine geografiche. Anzi, no, si era solo frainteso con se stesso: “Sono sgomento di fronte a questo vespaio mediatico. Il tema non è all’ordine del giorno”, ha detto ieri il ministro precisando quello che aveva detto ieri l’altro. Senza rendersene conto, è stato Fioramonti ad appendere il crocifisso, e non solo sui giornali, salvo poi comprendere che non è possibile toglierlo dalle scuole perché già non c’è, perché nessuna legge lo impone, nessuna circolare lo prescrive, ma solo il buon senso, lì dove è ancora rimasto, non lo fa staccare.

 

E allora ha forse ragione Clara Rech, già preside reggente del Liceo classico Visconti di Roma, quando ci parla di polemica stagionale come il raffreddore che come viene passa ma che mai immunizza. “Tutti dimenticano che nelle nostre scuole il crocifisso da anni non è più sulle pareti. Si è progressivamente eliminato e lì dove è rimasto ha perso il suo valore confessionale. Tuttavia la polemica si vende sempre e torna ciclica, poi si spegne. Si allenta. Ciò che conta è non perdere la testa”. Capiamo quindi che la scuola rimane un passo avanti e che la politica qui è solo un intervallo tra un supplente da trovare e un soffitto da mettere in sicurezza. A Milano, al Liceo classico Parini lo zelo è tale che il preside, Giuseppe Soddu, preferisce comunicare per messaggio “che i problemi della scuola da affrontare, e risolvere, sono altri. I saluti più cordiali”. Saltiamo nuovamente nella Capitale e cerchiamo Mario Rusconi che dei presidi è il vero papà, presidente dell’Associazione nazionale Presidi del Lazio e poi dirigente scolastico per ventisette anni, prima al Liceo classico Tasso e poi al Liceo scientifico Newton. Da due anni coordina le attività didattiche del liceo scientifico biomedico Pio IX. “Ma non indottrino nessuno”, esordisce scherzando. Non parla a nome dei papi e conosce come pochi le leggi della scuola che sempre cambiano, si addensano e si elidono. “Vi confermo che non c’è nessuno obbligo di esporre né la foto del presidente della Repubblica così come di appendere il crocifisso”. E allora cosa togliamo? “Io comincerei dal chiedere perché li abbiamo appesi. La foto del presidente ci fa appartenere a una comunità statuale mentre il crocifisso ci ricorda sia le radici giudaico-cristiane che quelle greco-romane”. 

 

Rusconi pensa che da anni sotto il crocifisso si combattano gli integralisti che vogliono toglierlo e quelli che sul legno vogliono aggiungere un altro chiodo: “Si è arrivati alla Corte europea e la sentenza ha stabilito che non violava la dignità e gli altri credi personali. Solo gli sciocchi possono ritenere, e ridurre, il crocifisso a simbolo cristiano. La verità è che non ha mai aggredito nessuna comunità o messo in discussione la laicità di stato”. E’ vero che i crocifissi sono spariti dalle scuole? “In molti edifici romani, quindi vecchi, il problema non è più il crocifisso da mettere in alto, ma il soffitto da non fare precipitare. Dopo ogni riparazione ne spariva uno e poi un altro, al punto che oggi, di crocifissi, se ne vedono pochissimi”, spiega ancora Rusconi. In pratica, sono spariti non per la secolarizzazione o per la furia iconoclasta di un ministro, ma per i lavori in corso. Come detto, nessuna scuola ha l’obbligo di esporlo (e ci mancherebbe). Il principio della laicità è rispettato (non tema Fioramonti) mentre è un dovere esporre le bandiere sia quella italiana sia quella europea. E per Rusconi, questo sì, è un autentico problema: “Le scuole sono costrette a comprarle. Ci si trova a scegliere tra una Lim (la lavagna interattiva multimediale, ndr) e una bandiera. Voi cosa scegliereste per i vostri studenti?”. Rusconi sceglierebbe la Lim, ma solo dopo, acquisterebbe le bandiere (“anche quella della Roma”, dice da tifoso giallorosso) e per questo parla di “folklore mediatico”. Ma non è il folklore di un ministro? “Non mi sono mai piaciuti i benaltristi ma, in questo caso, un po’ lo divento. Dobbiamo concentrarci sulla formazione dei nostri studenti. Quando gli americani furono colti di sorpresa dal lancio dello Sputnik, la prima cosa che fecero fu avviare un’indagine per conoscere il grado d’insegnamento della matematica nelle scuole americane. Ecco, mi piace più il Fioramonti che parla di maggiore formazione tecnico-scientifica che l’altro”. Ci spostiamo a Catania e al liceo classico Cutelli, da quattro anni diretto dalla preside Elisa Colella che conosce a fondo la vecchia disputa. “Se vogliamo fare gli scrupolosi, per le scuole elementari ricordo una circolare degli anni 80 che si rifaceva a un regio decreto. Il crocifisso veniva lì elencato come oggetto da acquistare negli arredamenti. E se decidiamo di dividerci, dovremmo allora chiederci se, durante le elezioni politiche, il crocifisso vada tolto. La mia soluzione? Io dove lo trovo non lo tolgo e dove non c’è non lo metto”, risponde questa preside che ha la stessa tensione di Natalia Ginzburg che, in un articolo del 1988 sull’Unità, scrisse le parole più sagge sul crocifisso: “Dicono che il crocifisso deve essere tolto dalle aule della scuola. Il nostro è uno stato laico che non ha diritto di imporre che nelle aule ci sia. A me dispiace che il crocefisso scompaia per sempre da tutte le classi. Mi sembra una perdita. Se fossi un insegnante, vorrei che nella mia classe non venisse toccato…”. Andiamo così a cercare una scuola dove è rimasto. Angela Minerva, preside dell’istituto comprensivo Uruguay di Roma, nove plessi e oltre 1.700 studenti, scuole elementari e medie, racconta che nelle sue classi ce ne sono ancora molti e assicura che “non turba proprio nessuno” così come il presepe, “che ogni anno riproponiamo”. “E però, adesso che mi fate pensare, durante i canti di Natale alcuni genitori, testimoni di Geova, ci hanno fatto richiesta di tenere conto della loro sensibilità. Tranquilli, non è scoppiato nessun conflitto”. Come dire, nessun crocifisso da togliere, “solo qualche nota da aggiungere”.

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