Il ministro dell'Istruzione, Lorenzo Fioramonti (foto LaPresse)

Fioramonti e il rigurgito statalista sulla scuola

Nicola Imberti

Il decreto voluto dal ministro non è ancora stato firmato da Mattarella. Tra i punti critici quello del concorso straordinario che discrimina i docenti provenienti dalle paritarie. Una vecchia questione ideologica 

Sarebbe bastata un po' di lungimiranza, magari l'accortezza di rileggersi quello che dice la legge 62 del 2000 che, all'articolo 1, spiega che “il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall'articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali”. Ma l'ideologia è nemica della realtà. E così, nella foga di dovere dimostrare al mondo quanto il governo rossogiallo consideri la scuola prioritaria, il ministro dell'Istruzione Lorenzo Fioramonti ha deciso di fare approvare ai suoi colleghi un decreto che, a distanza di quindici giorni, si trova ancora nel limbo.

 

Secondo Repubblica, a rallentare il percorso del testo sono stati alcuni “rilievi” del Quirinale. In realtà dal Colle non sarebbero arrivati dei “rilievi” (anche perché il testo non è ancora stato trasmesso) piuttosto sarebbero state suggerite della correzioni e attualmente il decreto starebbe facendo la spola tra il Miur e Palazzo Chigi. Uno dei problemi da risolvere è quello del concorso straordinario per i precari (non a caso il testo è stato rinominato “Salvaprecari bis”). Lo scorso 24 ottobre, rispondendo alle interrogazioni presentate dalle deputate Valentina Aprea (FI) e Cristina Patelli (Lega), il ministero ha ben spiegato l'obiettivo che intendeva raggiungere quando ha definito lo schema di decreto legge.

  

“Lo schema di decreto-legge, approvato dal Consiglio dei ministri ma non ancora firmato dal Presidente della Repubblica - scrive l'ufficio legislativo del Miur -, riprende l'accordo raggiunto con le organizzazioni sindacali che prevede che solo i precari che hanno prestato servizio nello stato possano partecipare al concorso straordinario per entrare nei relativi ruoli. Si tratta infatti di una selezione, il cui scopo, correlato alla condizione di straordinaria necessità ed urgenza, è di assorbire il precariato nel settore statale”.

 

Il problema è tutto in quella parola, “statale”, che escludendo di fatto chi ha prestato servizio nelle scuole paritarie, si configura come discriminatoria e apre la strada a possibili ricorsi. Ma quello “statale” è anche la spia di una certa idea della scuola. E siccome la realtà è più forte dell'ideologia, lo “statalismo” di ritorno si è trasformato in un problema. Così, nel prosieguo della risposta, il ministero fa presente che “è allo studio una specifica misura, nell'ambito dello schema di decreto-legge di prossima emanazione, proprio per raggiungere le necessarie intese, finalizzata a delineare modalità e termini per fornire una risposta positiva ai quesiti posti dai deputati interroganti, con riferimento alla partecipazione alla procedura straordinaria anche di coloro che hanno prestato servizio presso tali istituzioni scolastiche”. Tradotto: il ministero sta cercando di risolvere il problema che ha creato.

 

Ma è evidente che il tema è molto più di una semplice questione terminologica. L'idea di occuparsi delle scuole statali separandole idealmente da quelle paritarie è la dimostrazione che, nonostante la legge del 2000, c'è chi ancora pensa (sicuramente i sindacati, ma a questo punto anche il ministro Fioramonti che si è uniformato a quella posizione), che le scuole paritarie siano, in fondo, scuole di serie B. Poco più di “diplomifici”. Non certo il secondo pilastro del sistema nazionale di istruzione. Non si spiegherebbe altrimenti l'idea di prevedere due percorsi distinti per gli insegnanti.

 

Anche qui, ancora una volta, è la realtà a farla da padrona. Sempre lo scorso 24 ottobre, infatti, il Miur ha risposto anche a un'altra interrogazione, presentata dal deputato Gabriele Toccafondi (Italia viva) che chiedeva di conoscere i dati relativi all'attività di monitoraggio (avviata dal governo Renzi) per verificare  “la permanenza dei requisiti per il riconoscimento della parità scolastica” e quindi combattere proprio il fenomeno dei cosiddetti “diplomifici”.

 

Ebbene, su 1179 ispezioni solo a 39 istituti (il 3 per cento) è stata revocata la parità. Le proposte di revoca, in realtà, erano 70, 13 delle quali sono attualmente oggetto di sospensiva del Tar. In ogni caso, anche se tutte venissero accolte, stiamo parlando di poco meno del 6 per cento. Il problema appare circoscritto e l'impressione generale che deriva dai numeri è che le paritarie siano scuole che svolgono un servizio pubblico in maniera efficiente. Anche sui docenti si potrebbe fare un discorso analogo. È vero che in alcuni casi ci possono essere state delle violazioni come il rilascio di finti certificati di servizio da parte di scuole inesistenti. Ma non sarebbe più giusto punire i colpevoli piuttosto che far passare l'idea che tutti i docenti che provengono dalle paritarie sono dei criminali? Tra l'altro, già oggi, chi ha prestato servizio presso le scuole paritarie, partecipando a un concorso, ha diritto a 3 punti per ciascun anno di servizio contro i 6 punti previsti per i colleghi provenienti da scuole statali.

 

Insomma, come spiega Toccafondi, “continuare le ispezioni è doveroso così come è doveroso senza ideologie capire che le paritarie sono parte integrante del sistema nazionale di istruzione. I dati dimostrano nero su bianco che le scuole paritarie fanno veramente scuola e che esse, insieme alle scuole statali, costituiscono la seconda gamba su cui si regge il nostro sistema di istruzione nazionale. I controlli, fatti partire dal governo Renzi, sono importanti e devono continuare perché è necessario individuare e punire chi si nasconde dietro alla parità scolastica per creare dei 'diplomifici'”.

 

“Alla luce di questi dati - conclude il deputato di Italia viva - ci auguriamo che nel prossimo concorso straordinario per l'abilitazione siano ammessi anche gli insegnanti che hanno svolto nelle scuole paritarie i 36 mesi di insegnamento richiesti. Noi lo abbiamo sempre detto con forza: gli insegnanti delle paritarie non sono insegnanti di serie B e meritano gli stessi diritti di accesso al concorso dei loro colleghi statali. Questo vale anche per i percorsi di abilitazione e formazione perché per rispettare la legge e la qualità le paritarie devono assumere insegnanti con abilitazione”.

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