Giuseppe Conte (foto LaPresse)

L'avvocato del popolo è lo spread

Claudio Cerasa

Le Borse in rialzo e i btp in festa incoraggiano i rosso-gialli e ci ricordano una piccola verità: per essere un buon avvocato del popolo occorre prima di tutto essere un buon difensore dei mercati. La conversione di Alexis Conte e la lezione ai nemici dell’Europa

Non sappiamo se, politicamente parlando, quello che si apre sarà un anno bellissimo per il professor Giuseppe Conte, da ieri premier incaricato dal capo dello stato di formare un governo con molti bacioni agli amici di Rousseau, ma sappiamo che la stagione apertasi all’indomani della rottamazione chissà se momentanea del salvinismo (bacioni) e del savoismo (ri-bacioni) ci permetterà di dimostrare che per essere un buon avvocato del popolo occorre prima di tutto essere un buon avvocato del popolo dello spread.

 

 

Pochi giorni dopo aver aperto la crisi di governo, lo scorso 12 agosto, il senatore semplice Matteo Salvini aveva profetizzato che lo spread sarebbe sceso in modo molto significativo qualora l’Italia avesse scelto di andare alle elezioni, “se si va al voto velocemente lo spread si dimezza”. Ma l’andamento dei mercati finanziari degli ultimi giorni, purtroppo per Salvini, è lì a dimostrarci che la salute finanziaria dell’Italia è direttamente legata a un fattore diverso: l’allontanamento dal governo della miccia anti europeista. I titoli di stato italiani, nelle ultime ore, hanno raggiunto rendimenti molto bassi, tra i più bassi della loro storia. Lo spread, ovvero il differenziale tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi, è sceso ai livelli precedenti alla formazione del governo e molti analisti sostengono che di questo passo nel giro di qualche mese verrà sostanzialmente azzerato il differenziale con i titoli di stato spagnoli, che oggi corrisponde a circa 100 punti base. I btp decennali hanno raggiunto un interesse basso a livelli mai visti prima, sotto l’uno per cento. La Borsa, subito dopo l’incarico a Giuseppe Conte, è salita del due per cento.

 

 

Tutto questo non ci dice soltanto che è sufficiente avere la prospettiva di un governo non anti europeista, non nemico dell’Europa, non nemico dell’Euro per avere un paese capace di generare maggiore fiducia (ieri il premier incaricato ha scelto con sapienza di sottolineare che tra le svolte del nuovo governo ci sarà l'impegno chiaro per “un multilateralismo efficace, fondato sulla nostra collocazione euro-atlantica e sulla integrazione europea”). Ma ci conferma ancora una volta che per misurare la compatibilità di un governo con la realtà, e dunque con l’interesse della nazione e del popolo, non esiste un indicatore migliore rispetto a quello dei mercati.

 

Il senatore semplice Matteo Salvini, nel corso della sua per fortuna breve esperienza di governo, si è preoccupato in molte occasioni di mostrare la sua indifferenza rispetto al giudizio offerto dai mercati relativamente all’attività del governo. A ottobre dello scorso anno, quando lo spread arrivò a quota 300 anche a causa delle dichiarazioni dell’allora ministro dell’Interno, che all’epoca minacciava di sfasciare i conti pubblici lasciando intendere di essere disposto a tutto pur di non farsi dettare l’agenda dall’Europa, disse chissenefrega dello spread, perché lo spread è l’immagine dello “scontro tra l’economia reale e l’economia virtuale, tra la vita vera e la realtà finanziaria e a nome del governo voglio dire che non torneremo indietro ma saremo disposti ad andare in avanti” e se lo spread salirà troppo “gli italiani ci daranno una mano”.

 

Per fortuna, nel corso dei mesi, anche grazie alle indicazioni offerte dai mercati, il governo del cambiamento ha spesso cambiato il suo approccio nei confronti dello spread e ha scelto di non sfidare i mercati sul ministro anti Euro (do you remember Paolo Savona?), sulla legge di Stabilità (il deficit doveva sfondare il tre per cento, è rimasto al due) e sulla procedura di infrazione (Salvini diceva che mai si sarebbe fatto dettare l’agenda dall’Europa ma per evitare la procedura di infrazione ha dovuto accettare di farsi dettare l’agenda da Bruxelles). Lo spread, per un anno e mezzo, ha salvato il popolo italiano dalle pericolose promesse dei populisti e se vogliamo il grande merito dell’avvocato del popolo (e dello spread) Giuseppe Conte detto Alexis è stato quello di capire in tempo che essere poco affidabili agli occhi degli investitori non significa essere dalla parte del popolo ma significa essere dalla parte di chi vuole mettere in difficoltà gli italiani, perché più salgono gli interessi sui titoli di stato e più diminuiscono le possibilità di poter trovare fondi per far ripartire l'economia e più diminuiscono le possibilità di poter far arrivare con facilità credito dalle banche alle imprese e alle famiglie. Un paese incapace di dare garanzie sul suo futuro e sui suoi fondamentali è un paese a rischio. Un paese capace di dare garanzie sul suo futuro e sui suoi fondamentali è un paese più affidabile. E il fatto che ad averlo capito sia anche il partito guidato dal balconaro Luigi Di Maio, che fino a qualche mese fa considerava “un segnale positivo per l’economia italiana” la possibilità di offrire agli investitori rendimenti dei titoli di stato alti e dunque attraenti (sono parole pronunciate un anno fa da Massimo Buffagni), è una notizia che può essere letta con due chiavi di lettura diverse: infierendo sulla contraddizione o esultando per la conversione. Dio benedica i mercati e gli splendidi avvocati dello spread.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.