Di Maio alza la voce per provare a tornare al centro della scena

Il vicepremier dice no alla modifica dei decreti sicurezza e lancia ultimatum al Pd. Che replica: “Ha cambiato idea? lo dica chiaramente”. Nel frattempo Democratici e M5s continuano a trattare

Forse non è ancora “il momento di una nuova stagione”. Forse per far partire “un’ampia stagione riformatrice, di rilancio e di speranza, che offra al Paese risposte e anche certezze”, manca ancora qualcosa. Perché la sicurezza mostrata da Giuseppe Conte dopo aver ricevuto l'incarico dal presidente Sergio Mattarella, non corrisponde, evidentemente, con il pensiero di Luigi Di Maio. Che oggi, dopo le consultazioni con il premier incaricato alla Camera, è tornato ad alzare la posta in gioca e a lanciare ultimatum al Pd. Di Maio, probabilmente, non ha gradito il fatto che in molti, ormai, considerino Conte come interlocutore privilegiato, quasi un leader aggiunto del M5s. E così ha voluto rivendicare il proprio ruolo. Prima sottolineando che Conte è un “premier super partes” (quindi non direttamente riconducibile ai 5 Stelle), poi facendo capire al Pd che il margine di trattativa è molto meno ampio di come si possa pensare: “o si fa come diciamo noi, oppure niente”.

 

Nel suo breve discorso il vicepremier ha ribadito l'insindacabilità dei dieci punti presentati durante le consultazioni con il presidente della Repubblica e messo in chiaro che, almeno per lui, l'esecutivo si farà soltanto se gli alleati saranno d'accordo a realizzare il programma grillino: “Oggi il presidente del consiglio incaricato Giuseppe Conte potrebbe dar vita a un altro governo. Potrebbe dar vita a un Conte bis. Uso il condizionale perché in qualità di capo politico dei 5 stelle sono stato molto chiaro: o siamo d'accordo a mettere in pratica i punti del nostro programma o non si va avanti” (nel frattempo, giusto, per aggiungere un po' di carne al fuoco la delegazione 5 Stelle ha consegnato a Conte un documento con venti punti programmatici). 

 

Un condizionale che suona come uno schiaffo a Conte, un tentativo di rimettersi al centro della scena del M5s. Un condizionale che è un'alzata di voce per affermare chiaramente che “non rinneghiamo questi 14 mesi di governo, al contrario siamo orgogliosi”. Un orgoglio che si trasforma in veto: “Non credo abbia alcun senso parlare di modifiche ai decreti sicurezza. Vanno assolutamente tenute in considerazioni le autorevoli osservazioni del capo dello stato a quei decreti, ma senza volerne rivedere la ratio né tantomeno le linee di principio”.

 

Di Maio porta quindi alla luce la “profonda frattura rispetto l'idea di poter fare un governo con il Pd”, evidenziata due giorni fa da Claudio Cerasa che indicava proprio il vicepremier grillino tra “i principali sostenitori della necessità di fare di tutto per evitare di fare un governo” con i Democratici.

 

E mentre il M5s ricorda che “Rousseau è parte integrante delle nostre decisioni”, il Pd va all'attacco. “Di Maio ha cambiato idea? Lo dica chiaramente”, ha twitta Andrea Orlando. “Dietro le parole di Di Maio ci sono problemi interni al Movimento. Quello di Di Maio è un comportamento incomprensibile che non ci fa cambiare idea rispetto a quello che abbiamo detto al presidente Conte”, sottolinea Paola De Micheli. Mentre Graziano Delrio avverte: “I democratici sono impegnati a sostenere lealmente lo sforzo del presidente Conte. Questo sforzo da solo ha già fatto recuperare fiducia nell'Italia. Gli ultimatum di Di Maio al presidente incaricato sono davvero inaccettabili”. Ma il M5s risponde con un'alzata di spalle: “Non capiamo lo stupore. Noi guardiamo il programma, non le poltrone”. Il premier incaricato, dal canto suo, se la cava con una battuta: ”Di Maio duro? Non ho sentito il discorso”.

 

L'impressione è che tutto, in realtà, sia parte della trattativa. Che i toni duri altro non servano che per rassicurare i propri elettori e ottenere, magari, qualcosa in più (il famoso posto da vicepremier?). Così si va avanti, in attesa del prossimo giro di valzer.

 

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