Sergio Mattarella (foto LaPresse)

Il Quirinale non Rousseau

Redazione

La pazzia di un governo appeso agli strappi istituzionali dei maoisti digitali

La decisione assunta da Luigi Di Maio (e fatta digerire anche a Giuseppe Conte) di sottoporre al voto della piattaforma Rousseau il sostegno dei 5 stelle al presidente del Consiglio in pectore non è solo discutibile sul piano del metodo, è una inosservanza esplicita delle condizioni poste esplicitamente dal Quirinale. Sergio Mattarella ha chiesto ai partiti impegnati nella trattativa per la costituzione di una nuova maggioranza di indicare un premier e di garantire il loro sostegno parlamentare come condizione per conferire l’incarico. Si tratta puramente e semplicemente del testo della Costituzione che dà al presidente il compito di verificare l’esistenza delle condizioni per la formazione di una maggioranza di governo. Mattarella, in considerazione dell’urgenza di arrivare a una soluzione che eviti l’esercizio provvisorio, avrebbe voluto che programma e profilo del governo fossero già pronti, ma se anche restano caselle ancora da riempire può delegare il ruolo della composizione delle residue divergenze al premier. Quello che invece suona come uno strappo istituzionale è il fatto che l’indicazione del premier venga data con la riserva dell’approvazione della piattaforma Rousseau. Mattarella avrebbe anche tutto il diritto di non conferire l’incarico, perché le condizioni che aveva posto non sono state soddisfatte, ma siccome questo porterebbe a nuovi ritardi ha scelto di soprassedere. Quello che però appare evidente è che il profilo di restaurazione della correttezza istituzionale dopo gli strappi leghisti, che è il nucleo dell’intesa tra Conte e il Partito democratico, subisce uno sfregio ancora prima dell’inizio del percorso. Al di là dei dubbi sull’attendibilità di una votazione incontrollabile (o troppo controllabile) di una piattaforma telematica, che è un modo davvero bizzarro di interpretare la norma costituzionale secondo cui i partiti concorrono “in forme democratiche” alla vita politica del paese, c’è la pretesa di farne l’ultimo giudice, persino dopo la decisione del Quirinale. Se è dai maoisti digitali che dobbiamo prendere lezioni di democrazia c’è proprio da preoccuparsi.