“Con i grillini il Pd è finito. Elezioni subito o farò un altro partito”. Intervista a Carlo Calenda

Salvatore Merlo

“Renzi tradisce i principi liberaldemocratici per tatticismo, gli altri per ideologia. Con Zingaretti non si parlano e i Pd sono due”. Idee e economia per battere il populismo, secondo l'ex ministro dello Sviluppo economico

Roma. “Se la direzione del Pd darà al segretario Zingaretti il mandato di verificare l’ipotesi di un accordo con i 5 stelle, questo vorrà dire che il Pd avrà definitivamente abdicato alla rappresentanza del mondo liberaldemocratico. Io questa cosa non la accetterò. Sarà a quel punto inevitabile lavorare a una nuova forza politica che rappresenti quel mondo orfano. Una forza non alleata con il Pd, perché il Pd avrà perso ogni credibilità rispetto alle istanze dell’IItalia seria, quella che lavora, studia e produce”.

  

Carlo Calenda non sta soltanto preannunciando il suo abbandono del Pd e la nascita di un nuovo partito. Sta anche descrivendo il paradosso secondo il quale l’idea originariamente renziana di un partito liberaldemocratico stia incredibilmente sul punto di nascere per contrastare proprio una mossa di Matteo Renzi, cioè l’apertura a quei Cinque stelle che, dice Calenda, “sono incompatibili con qualsiasi idea di modernizzazione e sviluppo del paese. Non si può seriamente pensare di aggiustare i conti pubblici, di mettere in sicurezza l’Italia rispetto alla crisi economico-finanziaria, impastando un accrocchio con chi avversa la competitività e la crescita. E le avversa persino dal punto di vista ideologico. I grillini hanno una visione antimoderna della società. Secondo loro qualunque cosa sia ‘crescita’ è automaticamente anche ‘corruzione’, ‘devastazione ambientale’, se non addirittura qualcosa di ‘moralmente deprecabile’”.

 

Va bene. Ma con chi si fa oggi in Italia un partito che abbia idee liberaldemocratiche? Con Silvio Berlusconi? “Berlusconi ha una traiettoria che lo sta portando nelle braccia di Salvini. E il Pd gli sta dando una mano, visto che qualcuno tra noi ha teorizzato addirittura un governo M5s-Pd-FI spingendo Salvini a riaprire con Berlusconi. Io non penso a Berlusconi. Penso ad altre personalità provenienti dalla politica e dalla società civile. Ma il punto oggi non è prendere singole persone nei partiti. Qui va costruita un’offerta per i cittadini preoccupati dall’evidenza che nella prossima legislatura, in caso di elezioni, ci sarà un blocco Pd-M5s contrapposto a una destra estremista”.

  

E Renzi, in tutto questo? “Renzi poteva giocare ruolo importantissimo nel tenere in piedi l’identità liberaldemocratica. Ma con che faccia adesso? Con che faccia potrà mai farlo, ora che ha detto di essere disposto a mettersi con Di Maio e Di Battista? Sa qual è la verità su Renzi?”. Prego, dica lei. “Renzi non è mai stato particolarmente convinto di fare un suo partito, perché non vuole ripetere gli errori di Massimo D’Alema. E allora cerca soltanto di mantenere una sua personale centralità nel Pd. Deve tenere i gruppi parlamentari che gli garantiscono di contare. Il risultato è che ci sono due Pd, uno controlla i gruppi e uno controlla gli organi del partito. Questi due Pd rifiutano di sedersi nella stessa stanza. Non c’è niente di male che Renzi sia capo della corrente di minoranza del Pd, quello che non è accettabile è che finga di non esserlo e rifiuti qualunque confronto agendo come se fosse il capo di un partito parallelo”.

 

A proposito di Pd parallelo: ieri Zingaretti ha parlato. “Ha fatto una dichiarazione interlocutoria”. In realtà per la prima volta ha aperto a un governo. “Mi pare che la situazione sia molto fluida. Goffredo Bettini e Franceschini, loro sì, sono stati espliciti insieme a tutti quelli che l’alleanza con il M5s l’hanno sempre voluta”. E vogliono legarsi ai 5 stelle per le stesse motivazioni di Renzi? “Assecondano un antico riflesso della sinistra, l’idea che sotto la bandiera dell’antifascismo puoi mettere e fare qualsiasi cosa. Anche evitare le elezioni. Quella di Renzi è tattica, il loro è un automatismo profondo”.

  

“Ma sono preoccupato”, ripete Calenda. “Abbiamo attuato nell’ultima settimana un cambiamento di 180 gradi nei confronti del l’M5s che ha disorientato un elettorato che invece era stato nutrito a forza di hastag #senza di me. Ed è miope pensare che questo disastro possa essere compensato dalla vittoria di Pirro d’aver spiazzato Salvini per quindici giorni”, riprende Carlo Calenda. “Ma chi se ne frega! L’abbiamo spiazzato rianimando i 5 stelle, non tenendo noi in mano il boccino. Questa non è una vittoria. E’ uno sbaglio che per giunta precipita con metodi discutibili”.

 

Si spieghi meglio. “Renzi ha aperto ai grillini smentendo la Direzione nazionale del Pd che invece si era espressa in modo chiarissimo: mai con i Cinque stelle, e se cade il governo si va al voto. Persino i renziani in quel momento erano d’accordo, al termine di un dibattito che era stato anche molto accesso. Tutto questo è avvenuto di botto, rifiutando ogni ipotesi di dialogo con Zingaretti, Gentiloni, Franceschini. E in un contesto di inaccettabile virulenza delle espressioni verbali. Renzi chiama oggi ‘disertore’ chi è contro l’alleanza con i grillini mentre quindici giorni fa definiva ‘traditore’ che voleva discutere di un ipotetico governo con i 5s. Vi rendete conto? Ma questi, diciamo, sono errori veniali”.

  

Se questi sono quelli veniali, quelli più gravi quali sono? “Innumerevoli. Il primo è aver aperto ai Cinque stelle senza nemmeno aspettare l’apertura formale della crisi, ridandogli così centralità come ago della bilancia tra Pd e Lega. Cosa che potrebbe portare per assurdo al rimpannucciarsi del peggior governo della storia. Il secondo è che l’elettorato moderato ha ora la certezza che il Pd cercherà l’alleanza con il M5s nella prossima legislatura”. E se invece non si andasse alle elezioni? “L’idea di recuperare consenso stando al governo coi grillini, per giunta per sei mesi, è ridicola”.

  

Molti infatti parlano di governo di legislatura. “Immaginiamo tre anni, ammesso che ci si arrivi, in cui ci si divide su tutto. Trovare un’agenda di governo con i Cinque stelle senza snaturare il Pd, o senza cancellare le stupidaggini dei Cinque stelle, è impossibile. Quindi o il Pd smette di essere il Pd, cosa probabile. O i grillini diventano normali, cosa improbabile. Faccio notare che il Pd ha infatti già ceduto sul taglio dei parlamentari. Una proposta sulla quale eravamo critici. In tre minuti abbiamo ceduto pur di avere la vaga garanzia di un rinvio delle elezioni. Mi chiedo: e come affrontiamo poi la Tav, l’Ilva, il dossier giustizia? Già me la immagino la scena…”. La faccia immaginare anche a noi. “Il governo del Pd si carica sulle spalle la manovra che deve reperire circa 23 miliardi per le clausole Iva. Una cosa che si può fare, ma soltanto riducendo il reddito di cittadinanza, Navigator annessi e cancellando totalmente quota cento. Tutto questo avverrebbe nel caos coi Cinque stelle, mentre Salvini dalle piazze italiane direbbe: ‘Se ci fossi stato io me ne sarei fregato dell’Europa e avrei portato le tasse al 15 per cento’. Ma come si fa a non capire che è il più grande favore che gli si possa fare? Ditemi voi come potrebbe mai stabilizzare l’economia italiana un’alleanza ancora più bislacca ed eterogenea di quella tra Lega e M5s, che almeno sono entrambe forze antisistema e populiste? Sono sconfortato. Mentre noi stiamo qui a parlare di capriole e tatticismi, nel mondo reale sta arrivando una crisi economica finanziaria gigantesca”.

     

Ma Franceschini e Bettini non sono favorevoli al governo per ragioni tattiche, lo diceva anche lei prima. “Pensano questo: Salvini è fascista, e va combattuto con armi straordinarie. Qualunque cosa va bene. Anche Di Maio, anche il rinvio delle elezioni. Per loro c’è sempre una condizione di eccezione democratica che li legittima a non affrontare un’evoluzione culturale che li porti a conquistare la maggioranza del paese. Trovano sempre una condizione di eccezionalità emergenziale che gli consente di non evolvere, di non modificarsi. Quindi non rispondono a Salvini con le idee, cercando di contendergli il consenso magari cambiando paradigma, ma agitano l’idea di un rischio per la democrazia. Così è più facile”. Come con Berlusconi. “Sì, ma in fondo era la stessa cosa ai tempi del compromesso storico come risposta alla minaccia terrorista: meglio cercare la Dc che diventare socialdemocratici, reinventandosi poi la storia per tenere insieme Kennedy e Berlinguer”.

     

Ma Salvini è fascista? “Salvini è un uomo pericoloso perché è disposto a tutto. Ma il punto non è la diagnosi, il punto è la risposta. Il punto è capire che per sconfiggerlo devi recuperare la rappresentanza. Non esiste che lo batti inventandoti un governo stravagante. Lo devi battere sul campo dell’offerta e delle idee. E da questo punto di vista c’è una enorme sopravvalutazione della forza di Salvini. Lui è forte solo perché chi lo affronta si considera già sconfitto”. Che vuol dire? “Voglio dire che il centrosinistra si mobilita solo quando si parla di diritti degli immigrati, che è giusto. Ma non dà la stessa impressione di attivismo quando c’è una questione di diritti che riguardano i cittadini italiani. E’ proprio in questa assenza che si è infilato Salvini. Allora noi dobbiamo lavorare sulla gestione umana e razionale dell’immigrazione, ma dobbiamo occuparci dell’accoglienza degli italiani. La fila per fare la Tac è vicinissima, il Pil è una cosa molto lontana”.

     

Quindi cosa dovrebbe decidere la direzione del Pd mercoledì prossimo ? “Mantenere la linea del ‘No’ ai grillini e del voto subito, avviando un percorso che porti rapidamente alla nascita di un vasto fronte democratico, come ha detto anche Marco Minniti sul Foglio. Mi sembra sia anche l’intenzione di Zingaretti e di Paolo Gentiloni”.

     

C’è chi dice che queste cose non si fanno in pochi mesi. “E invece si fanno proprio così. A ridosso delle elezioni. Bisogna lavorare sulla Sanità, che sta andando a pezzi al Centro-sud. E poi sulla scuola che è una delle cause del disastro del paese. E ancora sugli investimenti per la transizione ambientale e digitale. E infine anche una proposta seria per diminuire il carico fiscale, con un vincolo di destinazione dei soldi recuperati dall’evasione. E’ così che ci dovremmo presentare al paese. Rinnovati. E con delle idee”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.