Dire la verità sui due Matteo

Claudio Cerasa

Apertura e chiusura, euro e no euro, globalizzazione e protezionismo, atlantismo e putinismo. Il duello tra Salvini e Renzi, caro Espresso, è una sfida tra gagliarde visioni alternative. Il nuovo bipolarismo (mostri compresi) spiegato a chi non vuole capire

Negli ultimi giorni, diverse testate, non solo italiane, hanno dedicato molta attenzione a un tema effettivamente gustoso che sintetizza bene la fase politica vissuta dal nostro paese nelle ultime settimane e che ogni probabilità continuerà a essere anche nelle prossime ore il filo conduttore della crisi di governo più pazza che c’è. Il tema in questione riguarda i due protagonisti assoluti dell’estate della nostra politica, Matteo Salvini e Matteo Renzi, e diversi osservatori, comprensibilmente, si sono esercitati in modo più o meno fortunato a individuare una qualche simmetria tra i due Mattei.

 

 

Ne ha scritto giovedì scorso il Monde, in un articolo intitolato “Le duel des duex Matteo”, ne ha scritto venerdì scorso Luigi Bisignani sul Tempo e ne ha scritto soprattutto venerdì scorso sull’Espresso il direttore Marco Damilano, che ha dedicato al tema dei due Mattei una provocatoria copertina raffigurante i due profili simmetrici di Salvini e Renzi poggiati l’uno accanto all’altro come a formare un unico e mostruoso volto (foto sopra). La tesi dell’Espresso, e non solo dell’Espresso, è che Renzi e Salvini sono due leader che “si dicono alternativi ma che in realtà sono paralleli” e il direttore Damilano arriva persino a sostenere che “dal partito della nazione di Renzi al partito dei nazionalisti di Salvini c’è poca distanza”.

 

I due Mattei sono effettivamente al centro della politica estiva ed entrambi sembrano essere particolarmente ossessionati l’uno dall’altro (Salvini, nel suo discorso al Senato del 13 agosto, ha citato Renzi sette volte, due giorni fa ha detto di non voler lasciare il Viminale “per non lasciare il paese nelle mani dei renziani” e sempre domenica ha ricordato agli amici a cinque stelle che il tradimento di governo sarà particolarmente doloroso perché significa “mettersi nelle mani di Renzi”). Ma in verità lo sono per ragioni opposte a quelle suggerite dalla discussa copertina dell’Espresso. Matteo Renzi e Matteo Salvini non sono come lo sono stati a lungo la Lega e il M5s due facce della stessa medaglia ma sono tra i leader politici che in questo momento meglio riescono meglio a rappresentare due visioni del mondo in lotta l’una con l’altra. A voler semplificare, le due visioni del mondo sono quelle che i lettori di questo giornale conoscono bene, sono apertura contro chiusura, sono Europa contro anti Europa, sono Euro contro no Euro, sono globalizzazione contro protezionismo, sono atlantismo contro putinismo, sono porti aperti contro porti chiusi, e da questo punto di vista si capisce bene perché Salvini cerchi di fare con Renzi quello che Renzi cerca di fare con Salvini: provare a far di tutto per far capire di essere l’unico in grado di arginare la visione del mondo incarnata dall’avversario. Salvini ha il pregio di essere in Italia l’unico leader di peso capace di essere in modo tanto pericoloso quanto genuino la principale guida politica del partito della chiusura. Renzi non è certo l’unico a incarnare questa visione e non è detto che sia quello che al momento la incarni meglio.

 

Ma la ragione per cui in questa pazza fase della politica italiana l’ex segretario del Pd è tornato a essere centrale ha a che fare con qualcosa di più importante del numero dei parlamentari del Pd a lui vicini, a lui leali e a lui fedeli. Ha a che fare con un messaggio dirompente (anche se ovviamente carico di clamorose contraddizioni) veicolato in modo brusco dallo stesso Renzi: pur di evitare di far andare al governo colui che viene considerato dalla stragrande maggioranza del Parlamento e forse anche del paese come il nemico pubblico numero uno della democrazia italiana è accettabile allearsi persino con quella massa di pericolosi incompetenti grillini.

 

In questo calcolo Matteo Renzi, e non solo lui, probabilmente sottovaluta il fatto che buona parte del consenso conquistato negli ultimi mesi dalla Lega è derivato anche dalla capacità mostrata da Matteo Salvini di mostrarsi sulla scena come l’unico credibile argine al virus del grillismo (e per combattere i due populismi senza andare alle elezioni il Pd ha solo una strada coerente: dare una fiducia tecnica a un monocolore grillozzo). Ma al di là di questo aspetto, comunque non secondario, il dato da cui non si può prescindere per provare a orientarsi nella settimana che potrebbe segnare la liberazione chissà quanto provvisoria del salvinismo dalle stanze di governo è che la nuova fase aperta dall’ex segretario del Pd coincide con una sorta di congresso straordinario, allargato non solo agli iscritti del Pd, utile per individuare le leadership più o meno adatte a incarnare il sentimento più diffuso all’interno del Parlamento italiano: il TTS, il tutto tranne Salvini.

 

La ragione per cui negli ultimi quindici mesi i Cinque stelle hanno dimostrato di non essere un buon argine al salvinismo non è legata all’incapacità, all’incompetenza, all’inadeguatezza della classe dirigente grillina. E’ legata a qualcosa di più importante e di più sostanziale: il M5s si è fatto cannibalizzare dalla Lega non perché troppo diverso ma perché troppo simile (in Europa fino a qualche mese fa il M5s era alleato con l’Afd, lo stesso partito che fa squadra al Parlamento europeo oggi con la Lega). E la ragione per cui oggi i grillini sembrano costretti, per restare a galla, ad aggrapparsi alla scialuppa di salvataggio del Pd, con tanti saluti al partito di Bibbiano, ha a che fare con una questione di sopravvivenza politica: lo spazio della chiusura oggi è presidiato da Salvini, tanto vale allora, per non sparire del tutto, provare a contendersi con il Partito democratico lo spazio politico dell’anti-salvinismo, come cercherà di fare oggi il presidente del Consiglio chissà quanto uscente Giuseppe Conte.

 

Non sappiamo come finirà la crisi di governo (anche se oggi un governo Pd-M5s è più possibile che impossibile), non sappiamo che ruolo giocherà Renzi (che contemporaneamente, creando gruppi a parte insieme con dozzine di parlamentari di Forza Italia, potrebbe aiutare a far nascere il governo garantendo una base parlamentare più larga rispetto a quella formata solo da Pd e da M5s ma potrebbe anche essere il principale nemico di questo governo, se fosse nelle condizioni di utilizzare i nuovi gruppi per far mancare i numeri), non sappiamo quanti sono i volti del Pd che sognano un’alleanza con il M5s non per trasformare il M5s ma per trasformare il Pd. Ma sappiamo invece che se davvero nascerà il mostro demo-grillino chi considera il modello Renzi un doppione del modello Salvini non capisce che, al di là dei singoli personaggi, la sfida del futuro della politica europea si gioca proprio qui, su quel nuovo bipolarismo che in troppi non vogliono vedere: apertura vs chiusura.

Chissà da che parte vorrà stare il Cav.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.