Enrico Rossi (foto Fabio Cimaglia / LaPresse)

Il governatore Enrico Rossi ci dice perché il M5s è come la Lega

David Allegranti

“Dialogo o alleanza? Vorrebbe dire essere subordinati ai Cinque stelle. Dobbiamo costruire un’egemonia diversa”

Roma. Il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, tra i fondatori di Articolo 1, da poco ha ripreso la tessera del Pd. Giusto in tempo per assistere al gran “dibbbattito” che regna sovrano fra i suoi ritrovati compagni di partito: dialogare, interloquire, finanche allearsi con il M5s? “Vedo tanti piccoli Togliatti nel Pd, lo dico con molto rispetto e simpatia”, dice Rossi al Foglio. “Però questa non può essere un’operazione politica. Se l’intento è disarticolare la maggioranza, siamo nel campo delle ovvietà per un partito di opposizione. Ma a me pare più un disarmo; vorrebbe dire per noi essere subordinati al ‘contratto’, che peraltro sta tenendo bene. Il tema per il Pd è semmai un altro: come fare opposizione e su cosa”. Anche perché il partito di Luigi Di Maio “ha dimostrato che la cosiddetta sinistra contenuta nel M5s era in realtà una destra. La protesta antipolitica e immediata contenuta nel M5s la sta realizzando oggi la Lega con le sue pulsioni razzistiche, con un’idea autoritaria di giustizia e di sicurezza”. Naturalmente, con l’aiuto principale degli stessi Cinque stelle, che non si sottraggono a votare tutto quello che la Lega propone.

   

Dunque le distanze sono e devono essere chiare: “Pensare che i Cinque stelle siano differenti dalla Lega presupporrebbe un fatto politico rilevante come la sconfitta di Di Maio, che invece non c’è stata. Quindi sono solo apparenze. Fra noi e i Cinque stelle c’è differenza per quanto riguarda la democrazia rappresentativa, che per me è l’unica possibile. C’è differenza nel modo di concepire il lavoro. Il reddito di cittadinanza è un bluff linguistico e rappresenta un’idea che non si concilia con la nostra di mettere al centro il lavoro. C’è differenza sulla concezione della giustizia; loro sono giustizialisti, noi non dobbiamo esserlo. Non dobbiamo farci prendere dall’ansia. Le elezioni di marzo hanno significato un cambiamento del vecchio schema politico e culturale”.

   

Quindi, dice Rossi, “il voto anticipato è un abbaglio, anzi Salvini mi pare che punti a crescere nei consensi, come ci dicono anche i sondaggi più recenti. Incurante della sorte del paese. Incurante delle basi della struttura democratica. Incurante persino dello stato di diritto”. Insomma, “Salvini vuole sfondare ancora, essere maggioranza. Rispetto a questo, il M5s non manifesta l’intenzione di volersi differenziare nei fatti. E andranno avanti così, perché in caso contrario sarebbe la fine di Di Maio. Quindi finché può il gioco – contraddizione apparente, complicità di fatto – andrà avanti. Per il Pd il problema è come diventare alternativa, non come prospettare dialoghi, intese o peggio ancora alleanze con i Cinque stelle”.

  


“L’ambientalismo è un tema serio, ma in Italia è stato impugnato spesso inseguendo i comitati, che per carità esprimono una reazione da ascoltare ma sono ben lontani da un progetto che concili l’utilizzo della scienza e della tecnica per sanare la ferita inferta all’ambiente”


 

Il centrosinistra dovrebbe investire su quel che si muove nella società. “In primavera, prima delle elezioni europee, nella società avevano iniziato a crescere elementi interessanti di opposizione. Penso ai giovani alla Sapienza a Roma con Mimmo Lucano. Penso alle iniziative contro il razzismo e il ‘trucismo’, ai sindacati in piazza. In Toscana ci sono state manifestazioni antifasciste, come quella di Prato. Certe assenze alle manifestazioni del 25 aprile sono state un campanello d’allarme. Dobbiamo fare battaglie forti contro il razzismo, perché se ci facciamo impaurire non vinciamo più. Su un argomento come questo la spregiudicatezza di Salvini sarà sempre in grado di portare dei risultati. Non siamo soli nel paese. Anche tra i cattolici e i liberali c’è chi non accetta il venir meno dei diritti umani”. Insomma, dice Rossi, “dobbiamo costruire un’egemonia diversa da quella populista e nazional populista. C’è troppo silenzio e paura, così il dibattito culturale lo egemonizza Salvini”. Non solo il dibattito: “Siamo arrivati al punto che viene sequestrata una nave dello Stato, ed è vergognoso che i ministri della Difesa e dei Trasporti, dai quali dipendono la Marina e la Guardia costiera, non dicano nulla”. Eppure, “come sostiene Walter Veltroni, c’è un paese che non si vuole gettare nel rancore. Dobbiamo quindi fare delle proposte sul tema dell’immigrazione, come partito che vuole gestire e governare l’integrazione”. Ci sono poi le questioni economiche, il lavoro: “Il paese non cresce, l’anno non sarà bellissimo. Se va bene la crescita sarà dello 0,1 per cento”.

  

Anche questo è un tema su cui il Pd deve sfidare il governo. “E’ evidente a tutti che il governo ha fallito. Avevano promesso più del due per cento, siamo il paese che cresce di meno, cioè niente. Le politiche del governo non hanno sostenuto le imprese e il lavoro. Dobbiamo ragionare su come costruire un asse, un patto tra produttori e lavoro, prendendo atto di interessi diversi ma l’obiettivo comune deve essere quello di alzare la produttività del paese”. Per esempio, dice Rossi, “non dovremmo valutare il fatto che tanta precarietà e flessibilità non contribuisce alla crescita della produttività come vorremmo?”. Il centrosinistra deve lavorare su proposte di governo orientate alla crescita. A partire dalle infrastrutture, anche quelle immateriali, dice Rossi. “I dati recenti, come quelli di cui ha parlato Carlo Bonomi sul Foglio lunedì scorso, ci dicono che gli investimenti deflettono e vanno invece rilanciati. Bisogna investire sul capitale umano. Osservo con brivido il nostro sistema scolastico e universitario al quale lo stato non dà adeguati finanziamenti”.

 

E ancora: “Serve una riforma fiscale, a partire dalle rendite: perché non pensare a una patrimoniale? Serve una lotta seria all’evasione fiscale”. Insomma su questi temi il Pd deve affrontare la maggioranza. Altrimenti il dibattito pubblico lo condurranno i populisti. E non c’è di che rallegrarsene, come dimostra il voto contrario di Salvini sulla Von Der Leyen: “In questo modo è diventato un replicante di Putin. Dà l’idea che nel partito di Salvini prevalgano le spinte meno legate alla Lega di governo, che conosciamo, ma a quella di estrema destra. Rispetto alla quale mi torna in mente l’intervista di Putin al Financial Times sul no al multiculturalismo, il no all’immigrazione, il sì all’identità della nazione basato su terra e sangue, il no alle libertà personali. Un qualcosa su cui il nostro paese si sta incamminando. E da questo non si esce proponendo una improbabile alleanza con i Cinque stelle, che invece sono parte organica di questo disegno. Si esce costruendo un’opposizione anche sapendo che servirà del tempo. Sono sufficientemente vecchio per ricordare periodi lunghi in cui non abbiamo governato. Magari ci vorranno anni per vincere la battaglia che oggi sta vincendo Salvini”.

 

Ognuno, dice Rossi, “deve ripartire dagli errori che ha fatto, compreso io. La scissione è stata un fallimento. Non dico che non ci fossero le ragioni per farla, intendiamoci, ma il nostro elettorato evidentemente non le ha condivise. Oggi sono favorevole a una fase costituente, introducendo elementi anche nuovi. Pensiamo al tema dell’ecologia, che è serio”. Un tema che va affrontato con realismo. “Dalla ferita inferta alla natura non si esce fermando le cose o tornando indietro. Serve un ulteriore sviluppo della scienza e della tecnica, e da un uso democratico di quest’ultima. Quello che invece non serve è un generico ambientalismo da anime belle, ma uno sviluppo secondo natura”. In Italia invece le tematiche ambientali non hanno mai funzionato perché “il tema è stato impugnato spesso inseguendo i comitati, che per carità esprimono una reazione da ascoltare ma sono ben lontani da un progetto che concili l’utilizzo della scienza e della tecnica per sanare quella ferita inferta all’ambiente”. Il problema è che con i Verdi italiani alla Pecoraro Scanio si va poco lontano.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.