Matteo Salvini a Bibbiano (foto LaPresse)

Salvini è il vero perdente di questa stagione politica

Giuliano Ferrara

Non ha chiuso i porti, ma gli stanno chiudendo le porte in faccia. In Europa e anche qui

Il Truce è il perdente di questa stagione politica. Parlo della realtà, che sembra inafferrabile ma esiste, non del teatrino nazionalpopulista, ancora capace di garantirgli un primato di voti e sondaggi, tutta roba forte ma inidonea ad affermare un primato politico. Non ha chiuso i porti, perché non si possono chiudere. Non ha respinto gli scampati del mare, perché è impossibile. Non ha rimpatriato seicentomila immigrati, perché era una fanfaluca. Si è agitato molto, ha detto cose sconce, mostrato i muscoli, e ha preso bei cazzotti. Il principale è l’isolamento internazionale, sottolineato dal voto europeo dei suoi soci contrattisti, che lo hanno mollato; e reso patente dall’accordo di Parigi, lui assente e imbronciato, ripreso e castigato, sulla condivisione degli sforzi per la sistemazione di flussi immigratori sempre meno allarmanti tra ben 14 paesi europei, fatto salvo il principio del primo porto sicuro come approdo per i salvati (quanto ai sommersi, meglio non parlarne). E non parliamo nemmeno dell’incandescente sintomo del caso Metropol: lì si vede che il fare la pallina da ping pong tra Putin e Trump, cercando di destreggiarsi per vantaggi loschi tra le due maggiori centrali antieuropee, ha portato la palla nella bocca di uno dei due truci più truci e potenti di lui, o di tutti e due. Ed è uno dei motivi per cui il legame con il gruppo di Visegrád non è mai decollato. La destra austriaca ubriaca e la Le Pen non pare facciano il peso, specie ora che un emendamento di fatto del Trattato di Dublino, costruito sull’asse franco-tedesco, toglie all’Italia intrucita ogni alibi.

 

Il Truce ha perso denti anche in casa. Lo svantaggio acquisito dai soci contrattisti non è un vantaggio per lui. L’improbabile Conte ha tessuto un po’ di tela, con l’aiuto di una parte del partito del pil e dei soliti noti opportunisti, creando uno spazio istituzionale scivoloso e ambivalente che però sembra fatto apposta per ridimensionarlo, ingabbiarlo, limitare la sua libertà di movimento. Uno strappo potrebbe portarlo a vincere la scommessa del consenso di teatro, che non è poco visto che la democrazia elettorale alla fine è un teatro, ma è una prospettiva in cui egli stesso non sembra credere fino in fondo, implica senso di avventura e grossi rischi. Quirinale, Tesoro, Camera, Esteri e Palazzo Chigi non sono nelle sue mani: l’uomo forte non è ancora così forte come vorrebbe e come molti lo vorrebbero. I servizi la pallina da ping pong non l’hanno salvata. Se la può cavare con una fuga, ma il rilancio è problematico, e comunque va registrato che il mito dell’invincibilità non gli si è attaccato addosso. E questo in un paese opportunista e pigro, distratto e trucista per mancanza di alternative, con un Pd che si incarognisce intorno al nulla e alla mediocrità di una leadership sbandata e floscia, purtroppo, e una destra centrista ex berlusconiana che non cava un ragno dal buco (sebbene nella sua saggezza contadina Luigi Longo dicesse sempre: “A che serve cavare un ragno dal buco?”).

 

Il paradosso sta in questo. Il bullo ha rimediato figuracce, non spaventa nessuno nella realtà, ma minaccia di occupare tutta la scena di teatro, di vincere eventuali elezioni, non facilissime da ottenere con uno strappo solitario ma nemmeno facili da evitare per maggioranze istituzionali disarticolate, e interpretare poi lo spartito da Palazzo Chigi tenendosi magari il Viminale, contro opposizioni divise. Sarebbe un punto di svolta. Una Machtergreifung all’italiana, e d’altra parte il Führer, prima di addentare opposizioni ed ebrei, prima di irregimentare i tedeschi aveva perso un sacco di denti. Ma il contesto dei nostri imminenti anni Venti è diversissimo da quello degli anni Venti del secolo scorso. Il ridicolo ne è una componente essenziale, e fino a un certo punto sulla realtà si può ancora contare.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.