Matteo Salvini (foto LaPresse)

Come togliere a Salvini il monopolio sulla gestione dei problemi cruciali per l'Italia?

Claudio Cerasa

Sicurezza e tasse. Il Truce è riuscito ad avere un’esclusiva sugli unici grandi temi che stanno a cuore agli elettori

Succede sempre quando la realtà si complica, quando i risultati non arrivano, quando i numeri tradiscono e la campagna elettorale è in arrivo. E lo schema ormai è diabolicamente codificato: Salvini trasforma un problema reale in un’emergenza nazionale, spiega con tono truce in che modo vorrebbe risolvere quel problema, poi tenta di provocare, cerca un’idea per spararla grossa, prova a esagerare, trova una scusa per scaricare le colpe sull’Europa, quindi aspetta che gli avversari demonizzino le sue idee, attende che i suoi nemici lo trasformino in un fascista, costringe i suoi oppositori a passare dalla parte di quelli che dicono di no, infine si rivolge agli elettori spiegando loro che l’unico che ha un’agenda vera per occuparsi dei problemi reali è lui e soltanto lui: è il Truce, è il Capitano, è Matteo Salvini.

 

La strategia della tenzone, più che della tensione, è una strategia che il ministro usa solitamente quando la realtà non offre buone notizie (dunque sempre) ma è una strategia che funziona, che crea consenso, che orienta il dibattito e che contribuisce a spostare l’attenzione dalla realtà e dai problemi importanti. Vale quando si parla di immigrazione ma vale anche quando si parla di economia. Le posizioni di Salvini possono piacere o possono non piacere ma a prescindere da quello che sarà il destino di questo governo è un dato oggettivo che avere posizioni forti su alcuni temi cruciali ha concesso al leader della Lega di avere il monopolio assoluto sulla gestione proprio di quei temi cruciali. In un solo anno di governo, Salvini ha fatto di tutto per rendere la gestione dell’immigrazione sopportabile solo a condizione che non vi siano emergenze, ha fatto di tutto per non dare all’Italia gli strumenti giusti per cambiare le regole dell’accoglienza in Europa, ha fatto di tutto per smantellare il sistema di gestione dell’immigrazione nel Mediterraneo, ha fatto di tutto per umiliare l’Italia mettendo in campo la politica dei porti chiusi (i 42 migranti della Sea Watch sono stati tenuti in ostaggio in mare per due settimane ma nel frattempo gli sbarchi in Italia non si sono fermati: 59 il 24 giugno, 121 il 21 giugno, 16 il 20 giugno, 65 il 19 giugno).

 

Ma nonostante tutto questo Salvini oggi è l’unico capo di partito a non aver problemi a parlare di confini da rispettare, di frontiere da tutelare e di immigrazione da governare. E i suoi avversari, piuttosto che muoversi in modo compatto per separare la fuffa dalla realtà, non trovano niente di meglio che mettersi acriticamente dalla parte delle ong e di dividersi in Parlamento sulla necessità di confermare o no alcuni accordi con la Libia che sono stati il perno della strategia che tra il 2017 e il 2018 ha dato al governo a guida Pd la possibilità di governare bene i flussi dei migranti. Il nostro ragionamento vale quando si parla di immigrazione ma vale anche quando si parla di tasse. In appena un anno di governo, Salvini, assieme a Luigi Di Maio, è riuscito a portare la pressione fiscale al suo record storico, come segnalato ieri dall’Istat, che ha registrato un aumento di 0,3 punti percentuali nel primo trimestre del 2019 rispetto al primo trimestre del 2018, ma nonostante questo chi è l’unico capo di partito ad aver trovato un modo per assicurarsi, attraverso la proposta della flat tax, il monopolio del dibattito sulle tasse da abbassare, mentre i suoi oppositori si dividono sulla necessità o meno di ragionare su una patrimoniale? E’ lui ed è ancora lui: è Matteo Salvini.

 

Può piacere oppure no ma nel giro di poco tempo Matteo Salvini è riuscito ad avere un’esclusiva totale sugli unici grandi temi che stanno a cuore agli elettori: più sicurezza, meno tasse. Finora il governo di Salvini ha fatto di tutto per smantellare il sistema che negli ultimi anni ha permesso di superare ogni emergenza legata ai flussi dell’immigrazione e ha fatto di tutto per rendere possibile non la diminuzione della pressione fiscale ma il suo aumento. Il salvinismo, lo sappiamo, è un bluff colossale (siete pronti a una campagna elettorale in cui l’Europa oltre a essere responsabile dell’arrivo delle ong diventerà responsabile anche dell’aumento delle tasse?) ma ha un pregio innegabile: buca, colpisce, funziona e offre risposte semplici, anche se sbagliate, a problemi veri e complessi. I porti non si possono chiudere e la flat tax forse non si può fare. Ma mai come oggi una domanda dovrebbe essere lecita: se l’alternativa non c’è non sarà perché l’alternativa ha un problema a essere percepita come qualcosa di diverso da chi dice sempre di no?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.