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Con Salvini non è finita la pacchia per i trafficanti di esseri umani

Cristina Giudici

La bocciatura del dipartimento di stato e il caso del team anti trafficanti di Siracusa abbandonato al suo destino dal Viminale

Milano. Oltre a restare umani, bisognerebbe restare anche lucidi. E chiedersi come mai il mantra salviniano sulla pacchia finita per i trafficanti di esseri umani non trovi molti riscontri. Un paradosso per il governo della tolleranza zero verso l’illegalità. Un report del dipartimento di stato americano, anticipato qualche giorno fa da Repubblica, segnala una bocciatura da parte degli Stati Uniti del governo italiano sul tema delle attività di contrasto al traffico di esseri umani: “In Italia – segnala il report – c’è stato un calo nel numero di arresti di trafficanti e di indagini, rispetto al periodo precedente”. A maggior ragione, dunque, occorrerebbe chiedersi come mai vengano tarpate le ali agli investigatori e/o ai team specializzati nel contrasto al traffico di migranti. Prendiamo il caso eclatante della chiusura il Gicic, il primo e unico gruppo interforze di contrasto all’immigrazione clandestina formato nel 2006 nella procura di Siracusa. L’annosa (e imbarazzante) faccenda ha fatto il giro del mondo, è finita anche sul New York Times, e ora è al centro di un’interrogazione parlamentare della deputata Pd Lia Quartapelle. La domanda è semplice: il Viminale come pensa di continuare a monitorare il flusso dei migranti?

   

Nel dicembre scorso, la procura di Siracusa ha deciso di chiudere il team creato nel 2006 per affiancare il lavoro dei magistrati nelle indagini sui trafficanti. Motivo ufficiale della chiusura decisa dalla procura di Siracusa: mancanza di sbarchi. A guidarlo c’era il commissario Carlo Parini che da 12 anni incrociava informazioni, dati, analisi e intuizioni su tutte le rotte, anche quelle silenti o apparentemente secondarie. E ora, di fronte alla mancanza di regia dei soccorsi in mare che permette al ministro dell’Interno di giocare a rimpiattino sulla pelle di pochi migranti, il commissario Carlo Parini sta seduto in un ufficio nella questura di Siracusa a timbrare passaporti. E a nulla sono valsi i tentativi dei suoi estimatori presso gli uffici del Viminale per impedire la chiusura del suo team o valorizzare l’esperienza del Gicic in altro modo. Dopo che per anni, soprattutto in seguito alle primavere arabe, il commissario Parini ha affrontato con poche risorse migliaia di sbarchi, fatto indagini su scafisti, trafficanti, reti criminali di basisti che dalla Sicilia a Milano organizzavano il traffico di esseri umani. Il Viminale non ha voluto salvare un’esperienza unica in Italia che doveva essere replicata e non abbandonata. Fra i fumi della retorica salviniana, non si comprende perché smontare una struttura che conteneva la memoria e le tracce dei flussi migratori nella Sicilia orientale. Nella trincea mobile del porto di Augusta dove ha gestito 1.084 sbarchi, l’assistenza e la raccolta dati su 128 mila migranti, il sequestro di 219 imbarcazioni e l’arresto di 1051 persone, ma mai a caso. Pochi sanno che una sua lunga e rilevante indagine sul traffico dei velieri che continuano ad arrivare dalla Turchia ha suscitato l’interesse dell’Europol che stava creando una task force per capire chi ci fosse dietro la rotta silenziosa (e molto remunerativa) che dalla Turchia ha raggiunto con delle barche a vela persino le coste inglesi. Pochi sanno che la sua attenzione verso la rotta turca di velieri di lusso è servita anche a fare qualche segnalazione su possibili jihadisti di passaggio. Eccolo qui il paradosso: nell’era salviniana, dopo il ridimensionamento della missione Sophia che non usa più navi per pattugliare il Mediterraneo centrale e l’interruzione del lavoro del Gicic, la pacchia non è finita, anzi.

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