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Le europee ci dicono che l'Italia di Salvini si salva solo tornando a votare

Claudio Cerasa

Saranno i populisti a cambiare l’Europa o saranno le europee a cambiare i populisti? Perché da oggi più Salvini fuggirà dalle sue responsabilità e meno il paese glielo perdonerà. Come leggere i risultati delle europee

Alla fine, in fondo, la sintesi è tutta lì: ma quand’è che lo rifacciamo? A prescindere dall’esito finale delle elezioni europee, a prescindere dalla performance di Matteo Salvini, a prescindere dallo stato di salute del Movimento 5 stelle, a prescindere dalla capacità di soddisfare le attese da parte di Nicola Zingaretti, ci sono almeno tre considerazioni che si possono sviluppare per capire quale sarà il destino del nostro paese all’interno della nuova cornice europea disegnata ieri dagli elettori italiani. La prima considerazione è tecnica e riguarda una griglia utile per orientarsi tra le dichiarazioni con cui oggi tutti coloro che hanno superato la soglia di sbarramento proveranno a dimostrare anche con buoni argomenti di aver vinto le elezioni anche se in realtà le elezioni evidentemente le ha vinte qualcun altro. All’interno di questa griglia, ci sono almeno cinque numeri da prendere in considerazione, per provare a capire quanto la legislatura italiana sarà condizionata, anche per inerzia, dal voto delle europee. Il primo numero riguarda il 30 per cento, e più la Lega sarà vicina a questo numero e più sarà alta la probabilità che Matteo Salvini sia tentato dal seguire il consiglio di Giancarlo Giorgetti: per provare a diventare premier, caro Matteo, occorre che tu faccia cadere il governo entro la prima metà di luglio, dopo di che il nostro cammino sarà sempre più in salita. 

 

Il secondo numero riguarda il 10 per cento, e più Forza Italia sarà distante da questo numero e più aumenteranno le possibilità che Salvini, per ragioni tattiche, sia ingolosito dal tornare al voto per infilare il dito nelle fragilità del partito del Cav. Il terzo numero riguarda il 25 per cento, e più Nicola Zingaretti riuscirà a far avvicinare il suo centrosinistra alla percentuale ottenuta dal Pd di Bersani del 2013 e più Zingaretti avrà la forza di evitare che una costola del Pd (Renzi?) possa essere tentata di mettersi in proprio. Il quarto numero riguarda il due, nel senso di secondo posto, e senza ottenere almeno questo risultato sarà molto difficile evitare una deflagrazione del Movimento 5 stelle. Il quinto numero riguarda infine quota cinquanta, e più la somma dei voti tra movimento 5 stelle e Pd sarà simile a questa soglia e più salirà la tentazione all’interno di un pezzo importante della classe dirigente italiana di lavorare affinché possa nascere presto un governo alternativo a quello a trazione leghista. Le soglie possono aiutare a orientarci nel caos di queste ore.

 

Ma al di là delle percentuali raggiunte da Lega, M5s, Pd e Forza Italia, il dato importante con cui i partiti di governo dovranno fare i conti nei prossimi mesi è legato a quello che sarà il vero filo conduttore di questa legislatura europea: anche quando vincono, i sovranisti, per contare qualcosa in Europa, devono tradire se stessi. Tradire se stessi significa che per poter pesare in Europa, per toccare palla nel prossimo Parlamento, per poter rivedere alcuni trattati, per poter migliorare la gestione dell’immigrazione, per poter ottenere qualche commissario importante, i sovranisti italiani, e non solo loro, saranno costretti a fare il contrario di quello che hanno promesso in campagna elettorale: dovranno allearsi con gruppi parlamentari considerati ostili, dovranno dimostrare che l’isolamento coltivato finora è stato un vizio e non una virtù, dovranno in qualche modo sperare che l’integrazione dell’Europa piuttosto che fare passi indietro faccia qualche passo in avanti. Diversi osservatori potranno sostenere con buone ragioni che da diversi punti di vista i sovranisti hanno vinto queste elezioni. Ma anche i più incalliti tifosi del nazionalismo dovranno ammettere che per ottenere risultati, per non usare l’Europa solo per fare campagna elettorale nel proprio paese, il sovranismo in Europa ha bisogno in qualche modo di abbandonare l’estremismo e di normalizzarsi. Può sembrare paradossale, ma in un’Europa che si ritrova qui e là a fare i conti con i vecchi e nuovi focolai del populismo la partita più intrigante da osservare non riguarda cosa i sovranisti combineranno in Europa (nulla) ma come la lezione europea potrebbe cambiare alcuni populisti che hanno ottenuto alle europee risultati importanti.

 

Da questo punto di vista, il populista europeo che avrebbe più degli altri l’occasione di far tesoro del voto del 26 maggio è senza dubbio uno e soltanto uno ed è naturalmente Matteo Salvini. Nel corso della campagna elettorale, il leader della Lega, così come quello del M5s, ha capito che, per quanto il populismo estremista possa far breccia in una parte non insignificante dell’elettorato italiano, alla fine le elezioni si vincono sempre virando più verso il centro che verso l’estremo. Se continuerà a giocare con l’estremismo, Salvini potrà vincere ancora qualche elezione ma sarà condannato all’isolamento in Europa e all’impotenza in Italia. Se Salvini deciderà invece di mettere da parte l’arma dell’estremismo, se deciderà di mettere da parte i Varoufakis della Lega, se deciderà di seppellire per sempre le pazzie sull’euro, se deciderà di diventare il nuovo spericolato garante del partito del pil, se deciderà insomma di diventare lo Tsipras del populismo di destra, la sua parabola (ma qualcuno ci crede davvero?) potrebbe durare più dello spazio di una sveltina europea. Ma per farlo, per evitare che la Lega prosegua nel suo processo di grillizzazione, il Truce, per tentare l’impossibile e diventare Dulce (copyright Salvatore Merlo), ha solo un modo: prendere atto che il consenso della Lega registrato alle europee non è un atto di fiducia rivolto al governo ma coincide con una richiesta disperata di una fetta consistente dell’elettorato italiano che suona grosso modo così: l’Italia ha bisogno di un’alternativa a un governo barzelletta. Fino a oggi, scaricando ogni problema sui grillini, Salvini ha potuto giocare la carta dell’irresponsabilità. Da oggi in poi, la responsabilità di tutto ciò che capiterà in Italia sarà sua. Più Salvini fuggirà dalle sue responsabilità e meno gli elettori glielo perdoneranno. E per farlo non basta cambiare un contratto di governo. Occorre osservare la realtà e cambiare schema di gioco, prima che sia la realtà dell’economia ad affossare questo governo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.