Chinatown in via Paolo Sarpi a Milano (foto LaPresse)

La Cina è vicinissima

Salvatore Merlo

“Il governo spieghi cosa sta facendo con Pechino. Ma temo non lo sappiano nemmeno loro”. Parla Guido Crosetto

Roma. “Se questo governo sta attuando un cambio di rotta storico della nostra politica estera, aprendo alla Cina, allora il presidente del Consiglio lo deve spiegare. Al Parlamento, ai cittadini italiani e magari deve anche dire qualcosa ai nostri tradizionali alleati”. Ieri pomeriggio Guido Crosetto, coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia, ex sottosegretario alla Difesa, imprenditore e braccio destro di Giorgia Meloni, ha chiesto al governo di riferire in merito al memorandum che tanto preoccupa gli Stati uniti e l’Unione europea.

  

    

Il memorandum d’intesa con la Cina è stato pubblicato dal sito del Corriere della Sera. Ma non può essere così che viene affrontata una questione di tale importanza”, dice Crosetto al Foglio. “Questo accordo ha un valore giuridico, e ha certamente un non irrilevante peso politico a livello internazionale. Non può essere che il governo non spieghi cosa sta facendo. Io non dico che non si debba interloquire con la Cina, ma non si può nemmeno fingere che la Cina sia un paese democratico e libero. E che non ci sia un equilibrio geopolitico da tenere in considerazione”.

   

    

Il mastodontico piano lanciato dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013, la cosiddetta “Nuova via della seta”, delinea un nuovo ordine mondiale con “caratteristiche cinesi”. Si tratta di un progetto strategico che mira a espandere gli interessi cinesi in ogni angolo della terra, Europa compresa, e contrastare così l’egemonia americana. “E infatti”, risponde Crosetto, “è urgente, ed è persino nell’interesse del governo, che vengano chiariti quali sono i rapporti di forza che sottendono l’accordo negoziato tra Italia e Cina. Vogliamo sapere se questa intesa può mettere a rischio le relazioni dell’Italia nel mondo occidentale, come sembra. Si può fare una politica non subalterna agli Stati Uniti, certo che si può. Ma essere indipendenti non significa per forza cambiare a trecentosessanta gradi la nostra politica estera. E certamente non significa passare da un rapporto di debolezza nei confronti degli americani a un rapporto di sudditanza nei confronti di un paese autoritario come la Cina. Ma mi spingo a dire di più, per gusto del paradosso: si può anche cambiare la politica estera, si può anche effettuare una torsione totale. Tuttavia questo deve essere frutto di una visione, di un supremo interesse nazionale. Non sono cose che possono avvenire a caso, come purtroppo sembra. E soprattutto si tratta di una materia così importante che non può non essere spiegata al paese e al Parlamento. Mi auguro che dietro questo accordo ci sia stato dello studio, un’idea, un progetto complessivo e non una scelta estemporanea e non ragionata, come appare. La Francia, la Svizzera, la Germania hanno già rapporti economici e commerciali anche piuttosto intensi con la Cina. Macron ha venduto aeroplani. Merkel ha negoziato per là terre rare. Il punto è sapere a cosa esattamente si sta legando l’Italia. E infine ci devono anche dire con chiarezza se questa intesa mette a rischio i rapporti con i nostro alleati storici del blocco Atlantico. Siamo l’unico paese del G7 ad aderire a questo grande piano del governo cinese”.

 


Guido Crosetto (foto LaPresse)


      

Negli ultimi mesi il governo, e in particolare il M5s con il ministero diretto da Luigi Di Maio, ha fatto un considerevole investimento politico e comunicativo su questo accordo. L’idea di portare Xi Jinping a Palermo, il 23 marzo, insieme con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, è partita proprio dal ministero di Di Maio. Dove il dossier è nelle mani del sottosegretario Michele Geraci. Geraci nell’ultimo anno ha viaggiato verso la Cina con una irrituale frequenza. “Bisogna dire che l’assenza totale di pregiudizi nei confronti di una potenza per così dire non democratica stride alquanto con la chiusura a riccio che si attua nei confronti di altri paesi, mi riferisco, per esempio, all’Arabia Saudita. C’è una manifesta ambiguità. Perché, per quanto riguarda la Cina, pecunia non olet? La somma delle simpatie per i cinesi e per il dittatore Maduro sconcerta chi si sente filo occidentale, pur essendo critico con gli Stati Uniti quando si atteggiano a sceriffi del mondo… e poi c’è un altro paradosso grottesco”.

    

   

   

Quale? “Nello stesso momento in cui si immagina di aprire canali commerciali che comportano l’arrivo di merci in Italia, si fa anche una battaglia antimoderna contro l’alta velocità, contro la Tav. Insomma ti prendi le merci, ma non ti poni il problema delle infrastrutture per gestirne il movimento. Non solo è surreale, ma pure un po’ sciocco”.

    

In Italia è stato abolito il finanziamento pubblico ai partiti. Che era una parziale garanzia contro la corruzione anche internazionale. Cosa impedisce oggi che potenze straniere influenzino le decisioni dei partiti, quindi la nostra stessa democrazia? Le aziende cinesi sono quasi tutti più o meno indirettamente collegate allo stato cinese e al suo governo. “La democrazia si difende dal denaro straniero con le regole. Ci siamo occupati molto di corruzione nazionale, ma esiste anche quella internazionale. Tuttavia non credo che ci sia niente di tutto questo dietro l’accordo con la Cina. Malgrado gli enormi interessi strategici. Piuttosto c’è, temo, una grandissima superficialità. Che è quasi peggio”.

   

La Cina persegue esplicitamente un progetto egemonico alternativo a quello degli Stati Uniti. E su questo progetto sta facendo investimenti proiettati sui prossimi cento anni. I soldi stranieri non sono una tentazione? “Certo che lo sono”, risponde Crosetto. Che poi si abbandona a una battuta: “Se poi agli stranieri dai pure il controllo dell’infrastruttura telefonica 5G, non li intercetti nemmeno più… Ma la mia è una battuta” (ieri la cinese Huawei ha inaugurato una sede a Milano).

      

Alcuni articoli di stampa internazionale, e recentemente anche il Sole 24 Ore, hanno evidenziato come i cinesi, acquisendo il porto del Pireo in Grecia, abbiano costituito una sorta di zona franca, un luogo dove i greci non controllano e non mettono piede. Si è molto scritto che al governo cinese interessasse in realtà il retro-porto, più dei moli. E si parla di Triade, cioè di mafia cinese. “Immagino che qualsiasi possano essere le conseguenze reali del memorandum, in futuro, qualora si arrivasse mai a cedere quote di proprietà di infrastrutture o porti, questi restino assolutamente sotto la giurisdizione italiana. E anche sotto il controllo di maggioranza azionaria da parte dello stato italiano. Però, ripeto, non sappiamo nulla. Non basta che un giornale pubblichi il testo memorandum. E’ il governo che deve spiegare e riferire”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.