Minniti ci dice perché Salvini rischia con la Libia
“Attenzione: stiamo perdendo la Libia”. L’ex ministro ci spiega cosa rischia l’Italia a isolarsi dal mondo (e perché sta con Calenda)
Roma. Marco Minniti parla con il Foglio di Africa, immigrazione, Europa. In una parola, del suo business. Sul Pd l’ex numero uno del Viminale centellina le parole – “Il manifesto di Carlo Calenda? Ho aderito, lui mi sembra gasatissimo” – mentre sul dossier libico l’ex ministro fa più a fondo e spiega perché la strategia di Salvini sull’immigrazione rischia di essere contro produttiva per l’Italia. “Non solo l’affondamento del barcone con 117 migranti ma anche la vicenda delle due navi lasciate per diciannove giorni in balìa di condizioni meteo sfavorevoli testimoniano un dato di fondo: chi pensava che il fenomeno migratorio si potesse cancellare con un tratto di penna è rimasto deluso”.
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini fa sapere che dal 1° gennaio i migranti sbarcati in Italia sono 155. Lo scorso anno, nello stesso periodo, erano 2.730. “Il calo degli sbarchi è iniziato prima dell’insediamento dell’attuale governo. Io – dice Marco Minniti – non faccio il controcanto a nessuno, tantomeno al mio successore, dico però che c’è un problema ben più preoccupante: mentre siamo impegnati in una guerra senza fondamento con la Francia, si tiene il vertice di Aquisgrana tra Merkel e Macron, e il massimo di apertura internazionale dell’Italia è la nomina di Lino Banfi all’Unesco. Senza parole”. Solo propaganda? “Mi lasci citare Sun Tzu: una strategia senza tattica è la via più lunga verso la vittoria; una tattica senza strategia è il rumore assordante di una sconfitta. Ricordo al governo che di troppo tatticismo si ‘muore’”.
Lei è stato criticato da più parti per aver affermato un fatto incontrovertibile: la capacità di accoglienza di un paese trova un limite nella sua capacità di integrazione. “Una democrazia deve governare i flussi migratori combinando i princìpi di sicurezza e umanità. Se li pone in contrapposizione, rischia di perdere se stessa. Nel momento in cui si lasciano due navi in balìa del Mediterraneo centrale e non si comprende la tragedia dei recenti annegamenti, l’impressione è che la situazione possa sfuggire di mano”. La conferenza di Palermo sulla Libia, voluta dal premier Giuseppe Conte, alla quale non hanno partecipato né Trump né Putin, né Merkel né Macron, con una presenza assai singolare del generale Haftar, ha rivelato l’assenza di una strategia. L’Italia, il primo paese europeo a inaugurare un’ambasciata a Tripoli, non ha un ambasciatore da oltre sei mesi. “Temo che stiamo perdendo la Libia, un elemento cruciale per l’Italia e per l’Europa. In quel paese si giocano tre partite decisive legate al governo dell’immigrazione, alla questione energetica e al contrasto al terrorismo all’indomani della sconfitta di Islamic State in Siria e Iraq. Per il nostro governo sembra più importante alimentare una polemica strumentale con la Francia piuttosto che occuparsi seriamente di Europa e Africa. Si è riportato indietro l’orologio di molti mesi”.
A proposito di Francia: Luigi Di Maio se la prende con il “franco coloniale” che impoverirebbe l’Africa; Alessandro Di Battista annuncia di voler salvare le persone in mare e portarle direttamente a Marsiglia…Lei è pronto a invadere la Francia? “E’ solo cattiva propaganda, la verità è che nel 2018 le partenze dai paesi che appartengono al sistema del franco africano sono minime. Il tema è lo sviluppo di un continente il cui futuro, anche solo per ragioni demografiche, sarà sempre più intrecciato a quello europeo. Ogni intervento in Africa non è un atto di carità ma una straordinaria opportunità”. I cinesi sembrano averlo compreso meglio degli europei. “Esatto, Pechino investe nei paesi africani pur non essendo così vitalmente interessata come l’Europa. Ciò rende ancora più grave il comportamento del governo italiano: oggi la stabilizzazione libica appare più lontana, non solo per la difficoltà a mettere insieme i vari attori regionali ma anche per l’assenza di una visione. L’Italia è più debole perché è più isolata in Europa. Con la Francia ci sarà sempre una cooperazione-competizione: nel mondo attuale non esistono cooperazioni senza competizioni. Un grande paese gestisce questo rapporto in modo virtuoso anziché trasformarlo in sterile contrapposizione”. Nel suo libro “Sicurezza è libertà” lei rivendica il merito di aver portato l’Europa in Africa: la conferenza di Parigi, nell’agosto 2017, ne è stata forse la manifestazione più evidente. “A Parigi c’erano i leader europei e africani uniti. Il problema è che oggi l’Italia ha scelto l’asse con l’Europa centrale che è interessata esclusivamente alla rotta balcanica su cui ha investito sei miliardi di euro, in aiuti alla Turchia, non a quella mediterranea. Al di là delle consonanze politiche, il gruppo di Visegrad non ha conoscenza né interesse ad occuparsi dell’Africa”.
Il vicepremier Salvini sostiene la necessità di corridoi umanitari affinché “l’unico arrivo possibile per donne, bambini e rifugiati sia su un aereo, non su barconi gestiti da trafficanti di uomini”. “La domanda è: che fine hanno fatto queste iniziative? L’Italia ha creato un modello di gestione fondato su tre pilastri: il contrasto ai trafficanti di esseri umani attraverso il rafforzamento della Guardia costiera libica in un sistema di ricerca e salvataggio in mare coordinato dalla Guardia costiera italiana e di cui facevano parte, a pieno titolo, le organizzazioni non governative e la missione Sophia. Adesso l’Italia ha abbandonato la Guardia costiera libica che da sola non è in grado di gestire il Mediterraneo centrale. Il secondo pilastro era quello dei corridoi umanitari, realizzati direttamente dalla Libia con l’aiuto dell’Alto commissariato delle Nazioni unite e della Conferenza episcopale italiana: chi aveva diritto alla protezione internazionale arrivava nel nostro paese sui voli dell’aeronautica militare. A ciò si accompagnavano i rimpatri volontari assistiti, gestiti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni: in pochi mesi ne sono stati eseguiti circa venticinquemila. A che punto siamo adesso? Il terzo pilastro era fondato sull’idea che per combattere l’illegalità bisogna costruire canali legali d’ingresso per i migranti economici attraverso un ruolo attivo dei paesi africani e delle singole ambasciate. Noi abbiamo puntato sulla responsabilizzazione di quei paesi, oggi invece prevale il conflitto politico-propagandistico interno all’Europa”.
Nel libro si ricorda un episodio risalente al marzo 2017: lei, da ministro dell’Interno, requisì per un giorno la Mostra d’Oltremare di Napoli per consentire al segretario della Lega di partecipare a una manifestazione, sebbene il sindaco della città avesse revocato l’autorizzazione. “Feci il mio dovere: una democrazia si fonda sulla garanzia del diritto d’espressione per tutti. Di coloro che la pensano come te e di coloro che non la pensano come te. Anzi, più sono distanti da te, più devi difendere i loro diritti”. In occasione dell’avvicendamento al Viminale, però, tra lei e Salvini non si è tenuto il regolare passaggio di consegne. In una democrazia matura si può immaginare che persone di orientamenti diversi collaborino insieme quando c’è in ballo l’interesse nazionale? Certe competenze e relazioni, coltivate in seno alle istituzioni, sono un patrimonio dell’Italia, non di questo o quel partito. “Per quanto riguarda il passaggio di consegne, ormai è andata, sarà per il prossimo governo. Forse lei è troppo generosa nel giudizio, tuttavia ho sempre guardato con ammirazione quelle democrazie che sulle grandi questioni agiscono con la forza e la coesione di un sistema paese”.
storia di una metamorfosi