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Conte e le fanta-privatizzazioni da "vendere" a Juncker

Luciano Capone

Perché nemmeno il presidente della Commissione europea si beve le vendite di asset pubblici da un governo nazionalizzatore. Analisi

Roma. Oggi Giuseppe Conte incontrerà a cena Jean-Claude Juncker per un “confronto costruttivo” in cui “rivedere le rispettive posizioni”, al limite proporre una “rimodulazione della manovra”, di cui però il governo resta “convinto”. Di certo, vista la sonora bocciatura di Bruxelles che ha dato l’avvio alla procedura d’infrazione contro l’Italia, sarà difficile trovare una via d’uscita nel piccolo spiraglio che sta tra la “rimodulazione” di alcuni provvedimenti e la “conferma” dell’impostazione della manovra.

 

E’ possibile che durante la cena tra il presidente del Consiglio e il presidente della Commissione europea, un tema di discussione per bloccare la procedura per la violazione del criterio del debito siano le privatizzazioni. Nell’ultima versione della manovra inviata a Bruxelles, il governo ha infatti inserito una modifica sostanziosa: privatizzazioni per l’1 per cento di pil (18 miliardi) nel 2019 anziché lo 0,3 per cento originariamente previsto. E’ un colpo sostanzioso al debito che dovrebbe mettere il suo rapporto con il pil su un percorso visibilmente più discendente.

 

Il problema è che l’Europa non ha affatto preso in considerazione questi numeri, perché li ritiene poco credibili. La cena di stasera potrebbe essere quindi l’occasione giusta per esporre un piano concreto di dismissioni. Ma c’è una piccola complicazione: questo piano non esiste. Al momento c’è solo il numero: in maniera un po’ maoista, il ministro Tria ha fissato l’obiettivo e ora le amministrazioni devono unirsi nel grande sforzo per raggiungerlo. Nei giorni scorsi al Mef sono state attivate le varie funzioni delle direzioni generali per dare sostanza a questa cifra, ma le difficoltà sono tante.

 

Il compito dei tecnici è davvero arduo, per due ordini di motivi. Il primo riguarda i tempi stretti per scrivere un piano sensato e credibile, dopo l’annuncio a sorpresa di questa grande ondata di privatizzazioni. Il secondo riguarda i vincoli politici: il vicepremier Luigi Di Maio ha immediatamente chiarito che “non ci saranno dismissioni di gioielli di famiglia. Noi abbiamo previsto immobili, beni di secondaria importanza, ma se mi parlate di Eni, Enav, tutti questi soggetti non finiranno in mani private, devono rimanere saldamente nelle mani dello stato”. Ricavare 18 miliardi non dalla vendita dei “gioielli di famiglia” ma dai mobili vecchi in cantina e dalle sedie rotte in soffitta, è una mission impossible.

 

Una prima possibilità messa sul tavolo da chi ha l’ingrato compito di organizzare questo matrimonio con i fichi secchi è quella di fare un’operazione di lease back (o sale and lease back), che in pratica vuol dire vendere e riaffittare: le amministrazioni pubbliche vendono alcuni immobili ma restano in affitto. Come è evidente, l’iniziativa ha i suoi problemi, perché nel giro di un certo arco temporale – se cioè per molto tempo si paga l’affitto – può diventare antieconomica. E qualche obiezione su questo potrebbe sollevarla anche Eurostat, che secondo le sue regole può considerare queste operazioni come debito, a meno che gli immobili non vengano liberati nel giro di un paio d’anni. Pertanto il piano di vendita e riaffitto dovrebbe essere affiancato da un piano di liberazione degli immobili, che implica una riorganizzazione all’interno delle amministrazioni pubbliche coinvolte. L’altra idea è quella di vendere gli immobili improduttivi, che però il problema ce l’hanno nel nome: chi se li compra? Per dare valore e mercato sarebbe necessario coinvolgere i comuni per magari cambiare le destinazioni d’uso di caserme dismesse, molte delle quali però avrebbero bisogno anche di essere bonificate. Gran parte del patrimonio immobiliare pubblico è poi di proprietà degli enti locali e non può essere requisito per abbattere il debito statale.

 

Si può lavorare sulle concessioni, ma dopo l’asta del 5G non ce ne sono di nuove e vendere quelle vecchie farebbe perdere i proventi annuali (vendere la casa o percepire l’affitto?). Per altre concessioni c’è poi un problema politico, ad esempio toccare le concessioni balneari per Lega e M5s è impossibile (sono stati votati per fare il contrario). Si potrebbe riprendere in mano la privatizzazione di Poste, ma siamo in zona “gioielli di famiglia”. C’è chi ha ritirato fuori il velleitario “piano Capricorn” di Renzi, che puntava alla costruzione di un veicolo insieme a Cdp con dentro patrimonio immobiliare e azionario, che emetta azioni di risparmio da far sottoscrivere ai cittadini. Il problema per questa maggioranza non è tanto che il progetto fosse velleitario, ma che fosse un’idea di Renzi. E quindi non si può fare. Ci sarebbe l’ipotesi, in campo da anni, di quotare Trenitalia (le Frecce) e magari – con un’operazione pro mercato – scorporare Rfi e mettere sul mercato una quota della rete mantenendone il controllo. Ma il governo, in realtà, pensa all’opposto: all’incorporazione degli aerei Alitalia nei vagoni delle Ferrovie. Non si sa cosa Conte dirà sulle privatizzazioni a Juncker, ma è improbabile che riuscirà ad essere convincente.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali