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Perché la risposta del governo ai rilievi europei è un boomerang per l'Italia

Luciano Capone

Commissione verso la bocciatura della manovra. Per Salvini e Di Maio “lo spread scenderà”, mentre Tria è “preoccupato”. Il capo della vigilanza Bce: “Dita incrociate per voi”

Roma. Al culmine di una giornata di tensione sulla giostra dei mercati finanziari, con lo spread che ha toccato i 336 punti per poi chiudere a 326, arrivano commenti molto preoccupati da Francoforte. Danièle Nouy, capo della vigilanza della Bce, dopo aver ricordato il precedente della Grecia, dice che “sarebbe molto triste se le banche italiane venissero colpite dalle conseguenze del dibattito politico”. Concludendo con un poco rassicurante: “Incrociamo le dita”. A farle eco il suo successore e attuale presidente dell’Eba (Autorità bancaria europea), l’italiano Andrea Enria, secondo cui “l’aumento degli spread sui titoli pubblici italiani sta avendo effetti sulle banche”. Rispetto a questo scenario buio e delicato, i due azionisti del governo ostentano ottimismo: “Sono sicuro che lo spread scenderà”, dice Salvini. “Le tensioni scenderanno, ne siamo convinti”, ribatte Di Maio. La sottosegretaria all’Economia Castelli ricorre, in maniera abbastanza surreale, alla tautologia: “Lo spread è legato anche alla Germania, basta leggere che cosa significa spread”. Chi mostra apprensione è l’unico che ci capisce qualcosa: “Ovviamente sono preoccupato”, dice il ministro dell’Economia Tria.

  

Come se non bastasse domani arriva la valutazione finale della Commissione europea sulla legge di Bilancio, che in caso di giudizio negativo aprirà le porte alla procedura d’infrazione. Un iter lungo e complesso che può portare all’imposizione di sanzioni, ma il vero rischio è che la sanzione venga anticipata dai mercati. La bocciatura appare scontata, anche perché il governo non ha fatto nulla per evitarla.

  

Il “governo del cambiamento” ha provato a rispondere alle obiezioni di Bruxelles con due modifiche alla legge di Bilancio – le clausole di salvaguardia sull’Iva e un 1 per cento di pil di privatizzazioni – talmente irrealistiche che non sono neppure state considerate. L’ultimo tentativo per evitare la procedura d’infrazione per la violazione del criterio del debito è stata la risposta del Mef alla Commissione europea che chiedeva un “rapporto sui fattori rilevanti” che avrebbero impedito di rispettare le regole europee. La squadra del Tesoro cita vari fattori, ma fa leva su un elemento tecnico che regge l’impalcatura i parametri fiscali: la stima dell’output gap. L’output gap è la differenza tra il pil effettivo e il pil potenziale di un paese, ed è un valore fondamentale per definire il bilancio strutturale e di conseguenza gli aggiustamenti richiesti alla politica di bilancio al netto degli effetti del ciclo economico. L’output gap, come ammette lo stesso European fiscal board, è un parametro difficile da misurare e nonostante la sua importanza è circondato da molta “incertezza” (perché dipende da altri fattori). Per farla breve: quanto più l’output gap è negativo, tanto più l’Italia può fare deficit. Già in passato, ai tempi di Pier Carlo Padoan, il governo si è scontrato con l’Europa su questo tema e ha ottenuto modifiche alla metodologia di calcolo del pil potenziale favorevoli all’Italia.

   

Ma questa volta il Tesoro – che in gran parte conserva la stessa squadra – si spinge avanti. Nel rapporto sui “fattori rilevanti” scrive che l’output gap, che secondo la Commissione europea va verso la chiusura nel 2018 (-0,29) e in territorio positivo nel 2019 (+0,30), utilizzando la nuova metodologia del Mef sarebbe circa 10 volte più ampio: -3,23 per cento nel 2018 e -2,64 nel 2019. La differenza è molto grande, anche considerando che è quasi il doppio di quanto stimato dallo stesso Mef nella manovra (-1,88 per cento nel 2018 e -1,23 nel 2019). La cosa paradossale di questa disputa tecnica sulla misurazione di questo valore impalpabile è che, anche secondo la stima dell’ultim’ora del Mef, l’Italia non rispetta le regole: pur utilizzando l’output gap agli steroidi, la deviazione dalla correzione strutturale richiesta resta comunque sostanziosa (-1,3 per cento anziché -1,8). Insomma, si tratta di una discussione che forse è anche controproducente per le possibili buone ragioni italiane. Un altro elemento da considerare è che finora la Commissione si è espressa solo sull’attendibilità delle previsioni della manovra, ma adesso si esprimerà anche sul merito delle misure adottate. E non c’è dubbio che fra tutte la più problematica è la controriforma delle pensioni, che indebolisce uno dei punti forti del paese, l’indicatore “S2”, ovvero la sostenibilità di lungo periodo.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali