Vertice sul Def a palazzo Chigi (foto LaPresse)

La manovra e il silenzio dell'establishment italiano

Redazione

I mercati e Bruxelles si sono fatti sentire. Le categorie produttive no

Venerdì, durante i festeggiamenti sul balcone di Di Maio, il deficit era al 2,4 per cento per tre anni. Ma durante la lunga gestazione del Def, le cose sono cambiate e l’abolizione della povertà costerà meno. Dopo la toccata e fuga del ministro Tria all’Eurogruppo, improvvisamente il deficit è stato messo su un sentiero discendente: 2,4 per cento nel 2019, 2,2 nel 2020 e 2 nel 2021. Meroledì, durante la conferenza stampa, il presidente Conte e il ministro Tria hanno ridotto ulteriormente il deficit nei prossimi due anni: 2,4 nel 2019 che scende a 2,1 nel 2020 e a 1,8 nel 2021. Magari, aspettando un’altra settimana, il parto avrebbe prodotto un pareggio di bilancio. Ma queste variazioni non contano, perché la maggioranza gialloverde dice di non aver rinunciato a nessuna delle promesse elettorali. Come si possa tenere insieme tutto questo con l’annunciata riduzione del debito pubblico è un mistero. D’altronde la formula del successo è ancora segreta: Conte, Tria, Salvini e Di Maio non hanno fornito una cifra sulla crescita e neppure sulle coperture. Come è riuscito, in una notte, il governo a tagliare il deficit del 2020-21? Ci sono nuove tasse, come le solite clausole di salvaguardia sull’Iva? Tutto questo si può sapere, visto che come modalità per illustrare il Def ai cittadini e ai mercati il governo ha scelto una conferenza stampa senza numeri e senza domande. Naturalmente, questo mix di improvvisazione politica e irresponsabilità fiscale aumenta l’incertezza sull’Italia, la cui credibilità viene misurata dall’aumento dello spread. Ma ciò che più sconcerta, in un paese che ha già un’opposizione così così debole, sono le categorie produttive (Abi, artigiani, commercianti, più che Confindustria) che a una manovra che pesa come un macigno sul loro futuro oppongono un timido silenzio.

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