Foto LaPresse

Perché l'Eurozona ha mezzi limitati per combattere una crisi italiana

Alberto Brambilla

Il Quantitative easing è complicato da replicare e il salvataggio con l'Omt è un azzardo. Parla Ashoka Mody

Sarà complicato per la Banca centrale europea contrastare una crisi futura nello stesso modo in cui è riuscita a farlo negli ultimi sette anni circa, da quando è in carica Mario Draghi. A dirlo è Ashoka Mody, economista dell’Università di Princeton e già assistant director allo European department del Fondo monetario internazionale.

 

“Gli strumenti a disposizione stanno raggiungendo il loro limite – dice – Quindi lo spazio è limitato per combattere una recessione. La Bce ha fatto molto per ridurre i tassi di interesse, e quella leva non può essere usata ancora. In altri termini, se ci dovesse essere un’altra recessione l’unico modo per contrastarla sarebbe fare un altro programma di Quantitative easing”. Sarebbe però controverso arrivare a tanto: il programma di acquisto di titoli pubblici e privati, iniziato nel 2015 con all’attivo 2.500 miliardi di euro, è ora in fase di riduzione, da ottobre gli acquisti mensili sono stati dimezzati a 30 miliardi. Una inversione di rotta non solo spiazzerebbe il mercato ma, secondo Mody, incontrerebbe difficoltà politiche. La posizione della Bce di Mario Draghi è che se le condizioni dovessero peggiorare il Qe potrebbe riprendere, o potrebbe essere ritardato il suo ritiro, prevedibile entro la fine dell’anno prossimo in precedenza a un graduale aumento dei tassi. “Per ora l’assunto della Bce è che non ci sarà una correzione e quindi non ci sarà bisogno del Qe. Ma se ci fosse bisogno, anche se Draghi dicesse che può riprendere insieme ad altri funzionari europei, la capacità di ricominciare il programma sarebbe politicamente in discussione”, dice Mody parlando con il Foglio in occasione di una lecture organizzata dal webmagazine Luiss Open.

 

Il motivo deriva sostanzialmente da uno dei più noti difetti congeniti dell’Eurozona, ovvero la discrasia di vedute e competitività tra paesi del sud e del nord: rinnovare il Qe farebbe tornare in auge i conflitti interni. Riattivare il programma di stimoli sarebbe in effetti controverso se non ci si trovasse di fronte a una crisi sistemica continentale: al momento l’osservato speciale è l’Italia il cui rendimento dei titoli di stato è stabilmente più alto rispetto a paesi considerati periferici come Portogallo e Spagna ed è il solo anello debole. In maggio, dopo le elezioni italiane vinte da Lega e M5s, quando il rendimento dei titoli decennali era sopra il 3 per cento – come in questi giorni di caos sui fondamentali della legge di Bilancio – il vicepresidente Bce in uscita, Vitor Constancio, consigliò all’Italia di “rileggere le regole” del programma di assistenza Outright monetary transactions o Omt. L’Omt, qui ribattezzato “scudo anti spread”, era stato annunciato da Draghi nel 2012 con il famoso “whatever it takes to save the euro” ma poi non fu mai usato. Da parte di un banchiere centrale è inusuale chiamare in causa uno specifico stato membro, e le parole precise di Constacio segnalano la criticità di una crisi reputazionale dell’Italia autoindotta da un governo che minaccia l’uscita dall’euro in modo ambiguo, tra conferme e rettifiche.

 

“Se i mercati finanziari ci credono l’Omt funziona, altrimenti no – dice Mody senza volere commentare la dichiarazione di Constancio ma solo parlando in termini generali – Il processo è complicato e stratificato, cominciarlo significa iniziare lunghi negoziati: nel frattempo il panico aumenterebbe e, prima di arrivare a una soluzione, le cose potrebbero peggiorare”. L’Omt ha infatti condizioni e condizionalità: il governo in carica dovrebbe concordare un programma di riforme macroeconomiche con il Meccanismo europeo di stabilità (Esm) che eroga prestiti – un governo eurofobo non sembra certo incline a stare al tavolo di quelli che bolla “tecnocrati”. “In altri termini se i mercati credono che la Bce possa effettivamente attivarlo e non ci sono problemi, la questione scomparirebbe in fretta. Ma se i mercati non ci credono e se ci dovessero essere dei ritardi, ciò ridurrebbe la credibilità [dello strumento] con problemi maggiori”, dice Mody.

 

Secondo l’economista di origine indiana, l’uso di questo strumento, in teoria definitivo per sedare il panico finanziario, dovrebbe essere consensuale. “Draghi aveva potuto mettere in piedi l’Omt perché il cancelliere tedesco Angela Merkel diede appoggio. Non credo che ora sarebbe possibile farne uso senza la stessa approvazione, e non so se Merkel sia capace di sostenere la Bce nel processo [di dispiegamento] del Omt vista la sua condizione di debolezza interna”. Come sostiene nel saggio “Euro tragedy” (Oxford University Press, 2018), l’Italia è la “linea di faglia” per Mody. “Un tremore finanziario in Italia o nell’economia globale – scrive – aprirebbe le crepe italiane e potrebbe provocare scosse altrove”. E come vede l’Italia a un anno da oggi? “Il commercio mondiale sta rallentando. I tassi di interesse salgono, e con il ritiro del Qe è probabile che salgano ancora. Quindi questi due fattori combinati faranno rallentare l’economia italiana. Con questo, alcune tensioni potrebbero accentuarsi. L’aumento dei rendimenti dei titoli di stato può causare stress: le nuove emissioni di debito avranno interessi più alti, parte del debito dovrà essere rinnovato nei prossimi anni, le banche avranno costi di finanziamento maggiori”.

 

Le condizioni saranno “più arcigne e difficili”, conclude Mody. Per ora non sembra ci siano medicine disponibili per migliorarle.

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.