Matteo Salvini con Alberto Bagnani (foto LaPresse)

Il governo gialloverde e il manuale del giornalismo anticasta

David Allegranti

Bagnai dice che i media hanno ucciso la democrazia, Casalino gioca a Mentana’s Creed: le notizie ai tempi di M5s e Lega

Roma. Nella Terza Repubblica, quella dei cittadini, non c’è spazio per la Casta. Nel governo del cambiamento non si possono annidare serpi velenose. Nel Parlamento del cambiamento, dove il popolo può finalmente esercitarsi in tutta la sua pienezza, hanno libertà di azione i veri rivoluzionari. Contro l’Europa, la Bce, contro i puzzoni turboliberisti. Ma anche, come insegna l’economista fiorentino Alberto Bagnai, senatore della Repubblica da poche settimane, contro i giornalisti. E prestate attenzione al Bagnai, ché potrebbe assurgere finanche al rango di viceministro o sottosegretario nel governo Conte. Il professore, economista no-euro, che ieri ha rivelato i tempi d’attesa della flat tax per le famiglie (non prima del 2020, auguri!), da tempo sottolinea il mefitico ruolo dei media. Ora, non è l’unico, beninteso: persino Elon Musk, che in teoria dovrebbe essere uno di quelli fighi e illuminati e manda la gente nello spazio, vuole creare un sito per schedare la credibilità dei giornalisti e delle testate per cui lavorano, per la gioia di Donald Trump.

 

“Perché querelare i giornalisti? Basta aspettare. Finiranno sotto un ponte e li porterà via la piena”, twittava allegro qualche anno fa il professor Bagnai. Sicché, cari colleghi, badate bene, perché l’augusto neosenatore ce le aveva promesse per tempo e adesso è arrivato il suo momento: “E quando ci saremo ripresi il nostro paese, ricordiamoci che la democrazia non è stata uccisa dai politici ma dai giornalisti”, aggiungeva in un vecchio tweet, sempre di qualche anno fa. Insomma c’è da ricordarsi, senza allarmi democratici alla Maurizio Martina ma con tono divertito (“Se proprio devi dire la verità, dilla in modo divertente, quelli che fanno ridere verranno risparmiati”, diceva Billy Wilder, anche se di questi tempi qualche dubbio viene) quanto sia labile il confine fra populisti e fascisti.

 

Lo dimostra bene Rocco Casalino, prossimo portavoce della presidenza del Consiglio, che si fa filmare mentre invia a Enrico Mentana, durante una delle sue maratone televisive, un sms con notizia – il via libera al governo M5s-Lega – e ironizza sulla “lentezza” del direttore del tg di La7 nel dare la notizia (“Troppo tempo eh, Enrico, più veloce”). In un colpo solo abbiamo capito che: chi è alla guida delle istituzioni si diverte un sacco nel giocare alla Playstation con Mentana’s Creed, facendo vedere quanto sia facile utilizzare i tasti; in futuro solo chi fa il bravo potrà avere accesso a notizie riservate in anteprima; i disarticolatori dei corpi intermedi vanno matti per i mezzi che possono controllare direttamente (e infatti ieri Luigi Di Maio dopo l’incontro con i “rider” ha parlato a microfoni unificati senza rispondere alle domande: non si chiamano conferenze stampa, ma comizi). D’altronde il codice Rocco è implacabile. Sapendo che anche un Carlo Sibilia qualunque oggidì può far fare ascolti, Casalino alza continuamente il prezzo: se conduci una trasmissione e vuoi avere carne fresca a Cinque stelle ogni settimana, non devi far irritare i comunicatori della Casaleggio Associati, altrimenti finisce che non ti arrivano più né notizie né ospiti. Al che uno potrebbe anche infischiarsene – dei mezzucci e dei ricattucci – dicendo “peggio per te, al posto tuo mando in tv l’intero plotone televisivo di Forza Italia”, epperò poi l’AgCom agiterebbe il ditino spiegando che no, non si può. Un circolo vizioso.

 

Quelli che per anni si sono schierati contro il “pensiero unico” liberal-democratico adesso non vedono l’ora, in un tripudio di ambulanze del 118 pronte a fiondarsi in strada, fra chi dice “lo stato siamo noi” (Di Maio) e chi vuole introdurre lo stato etico (Toninelli), di mostrare a tutti quanto sia unico il loro pensierino. Da Matteo Salvini, ministro dell’Interno, che querela Roberto Saviano, ai “feroci conduttori di trasmissioni false / che avete spesso fatto del qualunquismo un’arte”, oggi sbarcati in Parlamento. Già: che fine faranno quelli che si sono inventati un genere, mettendo alla gogna pubblica politici e parlamentari, la famosa Casta, visto che i telespettatori di quelle trasmissioni hanno votato per il “cambiamento”? Semplice, sono dentro le istituzioni e si sono subito adeguati. Gianluigi Paragone si è ormai calato nella parte di senatore del M5s: le interviste si concedono solo a chi la pensa come i Cinque stelle. Ma ora che quel genere ha raggiunto le stanze dei bottoni di Palazzo Chigi e s’avvicina pure alle sale della Rai, pronta a farsi lottizzare, che cosa ne resta? Cosa resta delle interviste-inseguimento per strada, del microfono-gelato usato quasi come clava e dei personaggi da bar di Guerre Stellari trasformati in intellettuali della rivoluzione? Ora che il governo giallo-verde esiste, che si sta facendo establishment, che i Claudio Borghi sono usciti dalla “Gabbia” per raggiungere Montecitorio e Palazzo Madama? Semplice, si dice quanto è bravo Luigi Di Maio oppure si dà la colpa alla nuova opposizione. Basta leggere il Fatto. Marco Travaglio dice un giorno sì e l’altro pure che è responsabilità del Pd se esiste il governo Conte. E’ pronto per il cinegiornale.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.