Coltivatori di canna da zucchero che leggono i giornali, Tully, ca. 1929 (foto State Library of Queensland)

I quotidiani ai tempi dei gialloverdi (piccola rassegna arbitraria)

Marianna Rizzini

C’è chi puntava su questo scenario, ma quando se l’è visto davanti non ha saputo più se era proprio quello che voleva. C’è chi si oppone senza se e senza ma. E c’è chi sul “ma” costruisce un’apertura di credito dove non ci si aspetterebbe di trovarla

Roma. Governo gialloverde: pochi giorni di vita, qualche gaffe diplomatico-parlamentare e gli occhi dei giornali puntati addosso. Non c’era mai stato nulla di simile, e la novità impatta sulla linea dei quotidiani. C’è chi infatti puntava su questo scenario, ma quando se l’è visto davanti non ha saputo più se era proprio quello che voleva – solo che ormai non si poteva ricacciarlo indietro. C’è chi si oppone senza se e senza ma, trovandosi a diventare in un giorno giornale d’opposizione compatto, dopo anni di distinguo sull’appoggio al governo (di centrosinistra). E c’è chi sul “ma” costruisce un’apertura di credito dove non ci si aspetterebbe di trovarla.

    

Intanto il Fatto, come nelle favole sugli abitanti degli antipodi a testa in giù, è ora in qualche modo nella posizione in cui prima si trovava Repubblica, anche se si tratta di dover distinguere tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, e non tra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, e anche se a calibrare la linea non c’è una dialettica Eugenio Scalfari-Ezio Mauro-Mario Calabresi, ma un dualismo Marco Travaglio-Antonio Padellaro. Il primo giugno, ad accordo fatto e giuramento in programma, il Fatto apre per esempio con titolo programmatico della linea suddetta (un conto è di Maio, un conto è Salvini, e in ogni caso non si possono macchiare a cuor leggero anni e anni di giornalismo a schiena dritta). Quindi: “La Lega cede a Mattarella e ai Cinque stelle. Il governo c’è, ora fateci vedere il cambiamento”, con editoriale del direttore Travaglio emblematicamente intolato “Meglio o meno peggio?”: “…Ci sarà tempo per giudicare il governo Conte… E l’unico giudizio che conosciamo, anche per la nostra ragione sociale, è quello sui fatti. Della maggioranza Lega-Cinque stelle abbiamo già detto tutto: avremmo preferito un accordo tra il M5s e un centrosinistra profondamente rinnovato, ma queste ultime parole si sono rivelate un ossimoro… Molte cose della Lega e alcune dei Cinque stelle non ci piacciono… ma il demenziale Aventino del Pd non ha lasciato alternative al patto giallo-verde…”). Il giorno dopo Travaglio ribadisce: “… in attesa di sapere che cosa farà il governo, vediamo com’è l’opposizione…”.

  

Intanto, prima e dopo il giuramento, a Repubblica regna l’unanimità. 1° giugno: “I populisti al potere”. Commento di Claudio Tito. “Nuova destra al potere”. 2 giugno: “Salvini, le mani sui migranti” è il titolo di apertura, e quello dell’editoriale del direttore Mario Calabresi non lascia dubbi: “Allacciamo le cinture”: “… Non può essere un giorno normale quello in cui il più reazionario e incendiario dei nostri politici entra al Viminale…”. E il 4 giugno Ezio Mauro, nell’editoriale “La destra realizzata”, cita il Salvini dell’“è finita la pacchia” per segnalare il pericolo: “Nel traduttore ideologico di Salvini la tragedia delle migrazioni, che segna un’epoca e riguarda due continenti, si riduce a una cuccagna, una gozzoviglia fortunata, un bengodi che comunque ha le ore contate perché è arrivato lui al governo e ha preso in mano il Viminale…”.

 

In mezzo, nella strana posizione del “né-né” e del “ma-anche”, si trova il Corriere della Sera, che in anni non sospetti è stato culla della campagna anticasta (“La casta”, libro cult di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo) e che con il M5s non ha usato la mannaia neanche nel 2013. La linea è: guardare, ma non necessariamente stroncare. Neutro infatti il titolo del primo giugno: “Ora parte il governo M5s-Lega”. Editoriale di Massimo Franco: “La via obbligata (e molti dubbi): “Lo si può anche definire come un esecutivo inclinato a destra… ma avventurarsi in definizioni che scontano categorie logorate dal voto del 4 marzo scorso potrebbe rivelarsi fuorviante e inutile…”.

 

A destra, intanto, il Giornale si trova all’opposizione come prima, anche se con scenario stravolto e anche se, per un soffio, poteva trovarsi al governo. La linea è chiara: dalla parte del Cav., spesso anticipato nei pensieri. A Libero, specchio rovesciato rispetto al Fatto, si sposa per tre quarti Salvini, ma Di Maio lo si colpisce volentieri. La Stampa, con qualche apertura, si trova all’opposizione, con curvatura atlantista (l’abbraccio con la Russia proprio no).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.